Pinocchio
Regia di Roberto Benigni
Cast: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Carlo Giuffrè, Kim Rossi Stuart, Max Cavallari, Bruno Arena, Franco Javarone, Peppe Barra, Alessandro Bergonzoni; fantastico; Italia; 2002; C.
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La tigre e la neve
Pinocchio - recensione
Pinocchio - presentazione
La vita è bella
Tripletta da Oscar per Benigni
Benigni Roberto di Luigi fu Remigio
E l'alluce fu
Davanti
ad un capolavoro della narrativa per ragazzi
del calibro del Pinocchio collodiano Roberto Benigni ha
dimostrato di conoscere la ricetta per un’efficace traslazione sul grande
schermo di un classico della letteratura: una rilettura filogicamente corretta
del testo di riferimento, libertà narrative ridotte al minimo (ma allestite con
gusto) ed effetti speciali non invasivi ma funzionali rispetto alla trama. Il
primo grande kolossal della casa di distribuzione Melampo è una fedele mise
en scène del libro di Carlo Collodi, interpretato da un cast rigorosamente
autarchico e ravvivato da qualche presa di posizione sul versante esegetico.
D’altra parte Pinocchio
fonde da oltre un secolo fascino onirico, magia ed arte del racconto allo stato
puro, è un romanzo criticamente stratificato, un classico che – parafrasando Calvino – non finisce
mai di dire quel che ha da dire, e dunque aperto per statuto a chiarimenti artistici. Benigni in tal senso non si è sottratto alla sfida ed ha realizzato
un grande film, convertendo su celluloide le invenzioni fantastiche del Collodi
in modalità che mischiano giustamente immaginazione, artigianato e sogno. La
computer grafica ha materializzato la briosa invenzione d’apertura: un
saltellante tronco di pino animato da uno spirito ribelle che spande confusione
in un piccolo borgo italiano di fine Ottocento prima di arenarsi sulla porta
del povero Mastro Geppetto, falegname eletto demiurgo dal burattino
protagonista, un tronco di pino assente nel libro
ma azzeccato viatico per la favolosa storia che seguirà. Il sofisticato
apparato di effetti speciali allestito per Pinocchio supporta i punti
più complessi ed immaginosi della trama, marcata da una simbologia fantastica
quanto ricca: la barocca carrozza della Fata Turchina trainata da centinaia di
topolini bianchi, il gigantesco burattinaio Mangiafuoco, il naso che si allunga
proporzionalmente alle bugie di Pinocchio, le metamorfosi asinesche, il
mostruoso pescecane. Ed ovviamente non manca all’appello neppure la variopinta
materializzazione del Paese dei Balocchi, un trionfo di specchi deformanti,
spade e giocattoli in legno, nato dall’estro del grande scenografo Danilo
Donati, scomparso durante le riprese. In più la premiata coppia di
sceneggiatori Benigni-Cerami ha
inventato un riuscito Leitmotiv per stringere il duo
Pinocchio-Lucignolo: un colorato lecca-lecca al mandarino (“La fine del mondo”)
che costituisce l’apoteosi della golosità infantile, un lirico inno alla joie
de vivre di chi si ostina, come Lucignolo appunto (“Anima grande!”), a
perdersi nelle tortuose smagliature della vita, per la lunga e difficile strada
attraverso la quale i bambini discoli diventano ragazzi “perbene” nel senso
prettamente borghese del termine. C’è poi la strepitosa icona fisica di Benigni a dar corpo
ed andatura balzellante ad un folletto-burattino che esordisce in modo
insostenibilmente sbarazzino, strada facendo comprende la strana aspirazione
dei grandi alla sua maturazione ma persiste, in modo quasi inconsapevole, nel
congelare ad libitum il suo processo di crescita interiore, che verrà,
ma a costo di perdere un’incorreggibile simpatia – “Peccato, era proprio un bel
burattino”, chioserà la fatesca Braschi nel finale –. Sotto il versante
sottilmente comico Roberto
Benigni ha sempre denunciato i propri debiti rurali, dichiarando spesso la
sua estrazione contadina e rivendicando al contempo, in modo quasi fisiologico,
il sostrato materialistico della propria arte, spesso giocata sull'esile filo
del basso comico, ai confini della scatologia più esplicita, scurrilmente
autentica senza mai scadere nel banale o nel triviale fine a se stesso. Con la
sua ultima creatura il regista toscano ha cambiato ancora marcia: allo stesso
modo in cui alcuni passaggi de La vita è bella si
rivelavano spiazzanti nella loro capacità di far ridere e piangere insieme, Pinocchio
racconta il lato nascosto di Roberto
Benigni, il Benigni lirico, il Benigni d'estrazione felliniana, capace di
avvicinarsi in punta di piedi ad un classico della narrativa per ragazzi, pieno
dello stupore che ogni classico per ragazzi esige dal lettore per statuto
letterario, ed in particolar modo il
capolavoro di Collodi, traboccante di falle enigmatiche di cui lo scrittore
toscano sembra aver voluto cospargere la storia dell'immortale burattino di
legno. Lo stesso stupore incantato Pinocchio lo trasmette con
una regia ricca di ritmo ed animata da sequenze che fondono fiaba e lirismo,
una fotografia che colora la storia di una magia fuori dal tempo, ed infine la
colonna sonora di Nicola Piovani, che commenta in modo efficace le immagini con
musiche a metà tra manierismi classici e temi estemporaneamente giocosi. Un
film d’autore che incanterà (e dividerà) gli adulti, più difficilmente i bambini,
ma in ogni caso da non perdere.
Pinocchio, regia di Roberto Benigni, con Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Carlo Giuffrè, Kim Rossi Stuart, Max Cavallari, Bruno Arena, Franco Javarone, Peppe Barra, Alessandro Bergonzoni; fantastico; Italia; 2002; C.; dur. 1h e 40'
Voto
7/8
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