Cinque nonne
Di Virgilio Sieni
Accademia sull’arte del gesto, con Adele Bonsignori, Maristella Ceccanti, Rosa De Santis, Nadia Nuti, Lina Pelosini, Sonia Salvini
Visto al Festival Inequilibrio – Armunia, Castiglioncello (Livorno), il 2 luglio 2011
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Sono cinque, potrebbero essere una, la stessa, potrebbero essere mille. La nonna è quell’oggetto
misterioso che arriva dal passato, che togliendola dal puzzle delle esistenze,
spostando quella tessera dall’ordine dell’albero genealogico si sfalda il futuro, il presente si vanifica. Vedere una nonna, non a caso Cappuccetto Rosso va a trovare il passato per avere maggiore consapevolezza del suo essere donna, femmina e persona, è guardare lontano, lanciare ami nell’oceano, salire cime
vertiginose, ascoltare altre vite così vicine, così lontane, riconoscersi nei lineamenti, anche in quelli non parentali, ri-conoscere che non siamo fatti soltanto di carne che se ne va, che ci lascia, che le rughe sono importanti
(“non me le coprire, ci ho messo una vita a farmele venire”, diceva Anna Magnani alla truccatrice), che sono solchi per spostare la soglia. “Cinque nonne” (notevole anche il volumetto edito dalla Maschietto Editore con testo di Renato Palazzi), performance-installazione
umana a Castiglioncello, è come entrare dentro un armadio della memoria, uno
scrigno prezioso dove il tempo si ferma, il rumore del mare che qualcuno
preferì non si sente, le foglie secche per terra come pavimento, i rami gonfi e
carichi dei fichi ancora acerbi a spiovere come salici ed a fare da tetto, a proteggerci, erbacce, gramigna che cresce dove c’è vita,
confusione, caos irrisolto, cianfrusaglie sparse, leggera incuria quotidiana
che la vita non è ordine, non è razionalità. Nonne in un ritorno tutto interno
al lavoro di Virgilio Sieni, rimando ai Due lupi con le gemelle Pasello ed
alla nonna protagonista della “Trilogia della città di K.”. Ma per descrivere questo ulteriore studio-indagine-analisi di Sieni
sui suoi gruppi di danzatori-non danzatori (bambini, non vedenti, anziani) non
vogliamo utilizzare né gli aggettivi “delicato”, “struggente”, “poetico”. Qui
c’è vita, c’è salsa, anche se nella sottrazione, anche se in piccolissimi gesti
millimetrici, nel silenzio-ascolto-rispetto
di un’immagine costruita ad arte dal coreografo, in punta di piedi dentro
questo mondo di ricordi, di fine, perché di questo si tratta, senza dover
mettere in campo parole come “pessimismo”. Siamo di fronte alla conoscenza, a
chi ha fatto della propria pelle un’autostrada di carezze e ci dona, alla
velocità di un tramonto, il suo pacco spoglio e disadorno di velleità ma ricco
della sostanza che soltanto le movenze di una danza immaginaria, e
immaginifica, consunta e consueta, densa di nervi attorcigliati e sciolta nel
divenire dei giorni, possono regalare in questo trambusto senza ossigeno che
chiamiamo “anti-noia”. In slow motion i dettagli sono più riconoscibili: la lentezza onirica dell’accendere
una luce di una cucina con l’olivo benedetto e Padre Pio appesi alle pareti di
piastrelle decorate, l’alzare lirico un centrino e scoprire la favola della Natura che in quell’attimo sembra compiersi, donarsi per la prima volta, con gli occhi della scoperta infantile, a noi, invitati-invasori, in quel circolo saturo d’oggettistica del quale riusciamo a cogliere solo l’esteriorità e non i
reconditi ritorni. Questi corpi che si ritrovano nelle poesie di Giorgio Caproni che chiosano i cinque frammenti e reperti. Corpo è la parola d’ordine, un corpo certamente che cambia, tra gestualità intima, legnosa e ritualistica. C’è nostalgia e
dolore, certo, ma non si cerca consolazione né ci si corruga e rattrappisce nella rassegnazione. Si tiene in equilibrio una canna di bambù, si coccola un limone, si scacciano insetti invisibili. Il pubblico può essere una sorta di gruppo d’archeologi venuto a fare rilievi e radiografie ad un terreno troppo spesso
sconosciuto, nascosto volutamente e volontariamente dall’errata proiezione in
avanti che tenta di cancellare il precedente. Qui si respira la vita, e sembra
un controsenso, un ossimoro scorrendo le anagrafi, vedendo i volti delle protagoniste. Ma sono gli occhi scintillanti, quelli che non hanno età, quelli che non invecchiano con i lustri se allenati, allattati alla bellezza.
Voto
8
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