Sembra davvero una favola burtoniana la cronaca dei due anni
appena trascorsi in casa Spineshank.
Nel lontano'98, quattro comuni ragazzi di Los Angeles con il
pallino per il metal e tutto il fluorescente circo che da
sempre lo accompagna, terminarono in fretta le registrazioni
del loro demotape. L'intento era chiaro: sognando magari di
ottenere un contrattino con quei volponi della Roadrunner,
intendevano darlo al loro idolo Dino Cazares, che con i suoi
Fear Factory stava per arrivare in città.
Un sogno all'apparenza proibito ma che, invero, divenne realtà.
Il gruppo, supportato da un'ottima produzione (venne affidata
alle sapienti mani di Josh Abraham) e da una discreta campagna
publicitaria, realizzò "Strictly Diesel" e partì subito in giro
per il mondo, in compagnia di System of a Down e Static-X.
La maggior parte della stampa specializzata, però, definì
giustamente il disco troppo acerbo e drammaticamente incompiuto,
tendendo persino a stroncare (erroneamente) l'integrità della
band con accuse di plagio e scarsa personalità.
E così la rabbia e la delusione per aver bruciato un'opportunità
così ghiotta cominciarono ad accumularsi, e crebbe violentemente
in Jonny Santos e soci un sentimento di rivalsa, un grido
potentissimo che oggi finalmente viene alla luce, detonando
tutto il suo vigore artistico in "The Height of Callousness".
"The Height..." è un disco dalle grandi potenzialità, in cui
emergono prepotentemente il coraggio e soprattutto l'umiltà che
i nostri hanno dimostrato nel voler conquistarsi un'altra chance,
assemblando un vero concentrato di soluzioni esplosive,
soprattutto nell'incedere delle strofe - la stessa title-track
ne è un valido esempio - e nell'ergere imponenti muri di chitarre
finemente sorretti (e non decorati, a differenza degli Slipknot)
da partiture sintetiche abilmente co-programmate dall'ormai
esperto producer GGGarth Richardson.
Se è pur vero che il riffing ricorda spesso quello dei succitati
Fear Factory, l'utilizzo dei synth e della voce, soprattutto
nelle magnifiche e disarmanti aperture melodiche (vedi "Play God"
e il super singolo "Synthetic"), riporta ai new-glam-metallers
Orgy.
Ma una band ha carattere quando è capace di regalare emozioni, e
qui il concentrato isterico-dicotomico di calma/rabbia è talmente
esasperato da garantirne un continuo fluire.
L'unica "pecca" dell'album è semmai il non presentare alcuna
caduta di tono, "staticizzandosi" leggermente dopo ripetuti
ascolti, ma il tutto rimane comunque a distanza siderale da tanti
gruppi nu-metal che affollano il panorama odierno.
Voto
8
|
 |
|