Esperimento di verità
Timbuctù
Lulu on the bridge
Ci sarà pure un motivo se il cane è comunemente considerato il miglior amico dell'uomo: lo dimostra Paul Auster in Timbuctú, il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia (riedito recentemente nella collona "Einaudi Tascabili"). Il narratore originario del New Jersey, classe 1949 - già autore della sceneggiature di Smoke e Blue in the face, della Trilogia di New York, nonché regista di Lulu on the bridge - ci propone una struggente e surreale odissea urbana vissuta dai due protagonisti, per certi versi due riletture moderne di Don Chisciotte e Sancho Panza. Nella parte del cavaliere errante troviamo Willy G. Christmas, un ex ragazzo dei Settanta rimasto folgorato dall'esperienza psichelica e dal relativo ventaglio di droghe, che si è cambiato nome in omaggio a Santa Claus, il mito cui ha dedicato la sua vita ed un braccio in cui campeggia un grande tatuaggio del suo eroe - un Babbo Natale che la vecchia madre, profuga polacca dall'Olocausto, guarda con terrore codificandolo come una svastica -. Poi c'è il buon Mr. Bones, nome da uomo ma corpo da bastardino pulcioso, il suo inseparabile scudiero, sempre pronto all'ennesima stravaganza del padrone, che ha però stabilito con lui un rapporto rigorosamente alla pari, tra un uomo loquacissimo ed un cane che lo capisce quasi sempre (sembra mancargli solo la parola). Tra vagabondaggi vari e le più diverse stranezze - singolare soprattutto la rivoluzionaria sinfonia degli odori, dedicata all'olfatto, il senso più sviluppato dei cani - i due protagonisti stanno arrivando alla fine delle loro picaresche avventure: Willy sta lentamente spegnendosi per i malanni indotti dalla sua vita di strada, e sta cercando di raggiungere prima possibile l'ultima tappa, la casa di Baltimora della sua adorata professoressa d'inglese, Bea Swanson, per affidarle i 64 quaderni contenenti le sue eccentriche divagazioni filosofico-poetico-narrative sulla vita. A Willy resta poi da sistemare Mr. Bones, inadatto a sopravvivere da solo alla dura legge della strada. Capita però che i buoni propositi del vagabondo si arenino alla casa di Edgar Allan Poe: Mr. Bones da bravo cane sognante sa che il suo padrone ha sicuramente raggiunto l'agognata Timbuctú, versione moderna e New Age del paradiso, dove chi è degno d'accedervi ha la sensazione d'essere "un frammento di antimateria accolto nel cervello di Dio", un'oasi da sballo insomma. In attesa di raggiungerlo in paradiso - con il timore che il posto sia off limits per i quadrupedi - Mr. Bones inizia a correre, stando attento agli accalappiacani ed ai tremendi ristoranti cinesi: poi si ferma per un bel maquillage da una perfetta famiglia felice americana con moglie bionda e carina, marito pilota e due simpatici bambini. In Timbuctú Paul Auster intriga con l'ironica leggerezza di una prospettiva desueta che gli serve, come spesso accade nei suoi romanzi, a raccontarci il diverso ed il lato perdente dell'american dream.Paul Auster, Timbuctú, Torino, Einaudi, 2000; pp. 166
Voto
7½