Margaret Doody
Gli alchimisti
Palermo, Sellerio, 2002; pp. 448
Oxford, la letteratura, l'inganno e i mitici anni Sessanta
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Aristotele Detective
Aristotele e il giavellotto fatale
Aristotele e la giustizia poetica
Gli alchimisti
Dopo
il successo della trilogia di Aristotele detective,
confermando la sua vocazione di romanziera ritrovata, Margaret Doody torna sugli scaffali
delle librerie con un libro scritto nella sua prima versione tra il 1965 ed il 1968 durante gli studi
oxfordiani dell’autrice
canadese, nelle pause della stesura della sua tesi di dottorato, con un occhio
alle sue esperienze di studentessa nei primi anni Sessanta, dunque di sapore
anche vagamente autobiografico. Gli alchimisti, come spesso è accaduto
alla Doody, è poi finito nel classico cassetto per essere pubblicato soltanto nel
1980, quando il mito degli anni Sessanta (contestazione e cambiamento) aveva
ormai fagocitato se stesso e questo romanzo di formazione si era arricchito in
modo quasi naturale di una sinuosa patina d’epoca. Ispirato nella sua trama
centrale a L’alchimista di Ben Jonson,
commedia satirica di truffatori e truffati, Gli alchimisti è un romanzo
di formazione che, dall’ottica privilegiata della studentessa protagonista,
intende sviscerare il fascino illusionistico della letteratura, l’insostenibile
ambiguità che caratterizza la grande letteratura, chiarire (ed è un compito
davvero arduo) se la logica seduzione estetica insita nella letteratura sia
fine a se stessa o un limite per la promessa di crescita morale che ogni
classico dovrebbe (teoricamente) offrire ai propri lettori. Obiettivi o analisi
geografiche di un territorio privo di confini come l’universo letterario che
non esauriscono i motivi di interesse de Gli alchimisti ma ne
costituiscono semplicemente le coordinate aggiunte: l’esordio narrativo di Margaret
Doody è prima di tutto un godibile romanzo sull’apprendistato alla vita di
una giovane studentessa, Anne Leacock, un’ingenua americana in trasferta a
Oxford, e dell’incontro che cambierà la sua incantata percezione del mondo
univesitario, del mondo letterario e, in ultima analisi, della vita stessa:
alludiamo ovviamente all’incontro con l’incorreggibile trio di alchimisti del
titolo, ovvero il calcolatore Paul, il disincantato Tony e l’astuta Valeria.
Tre studenti che hanno deciso di utilizzare le competenze professionali
maturate ad Oxford per dilatare ad
libitum il loro ingresso nella vita ‘regolare’, mettendo a segno ardite
truffe ai danni degli studenti o dei
professori di turno. Qualche esempio? Commercio di tesine per colleghi poco
capaci, vendita al dettaglio del taumaturgico intruglio noto come Quam
Celerrime, mercimonio di originali letterari (chiaramente falsi) con
sprovveduti studiosi in cerca di facile fama, addirittura traffico illecito di
pregiato (e presunto) whisky oxfordiano. Il tutto condito con una mirabile
sequenza di citazioni illustri profuse sapientemente dal truffaldino idealista
della situazione, ovvero Tony, l’unico illusionista puro della vicenda,
disposto a soccombere all’ambiguo fascino dell’illusione fine a se stessa,
perso nel circolo vizioso della sua arte truffaldina, per certi versi. La fine
de Gli alchimisti,
romanzo di ampio respiro e supportato da un singolare cast di caratteristici
attori comprimari, è nota, come ogni commedia dell’inganno che si rispetti: ma
il viatico per arrivare all’immancabile smascheramento dei tre truffatori ed
alla fine dell’educazione alla vita di Anne Leacock è lungo e pieno di sorprese
da scoprire pagina dopo pagina. Un romanzo davvero intrigante e ricco d’ironia,
da leggere in attesa che la Doody, nelle pause offerte dal suo incarico di
docente di letteratura
comparata alla Notre-Dame University, sforni presto un’altro capitolo della
saga aristotelica
o rispolveri l’ennesimo manoscritto del suo inesauribile cassetto...
Margaret Doody, Gli alchimisti, Palermo, Sellerio, 2002; pp. 448
Voto
7+
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