Giulia non esce la sera
La vita che vorrei
Luce dei miei occhi
Fuori dal mondo
Con
La vita
che vorrei si riforma il trio Piccioni-Lo Cascio-Ceccarelli, che nel
2001 dettero vita a Luce
dei miei occhi, un film che alla Mostra del cinema di Venezia di
quell’anno fu premiato con l’assegnazione di una doppia (e meritata) Coppa
Volpi ai due protagonisti. Stavolta il gioco filmico verte su una storia di
cinema nel cinema, sull’illustre scia di Effetto notte: Laura, attrice
ultratrentenne, a sorpresa viene scelta da un regista di successo per
interpretare la protagonista di un film in costume, un melodramma sentimentale
ambientato nell’Ottocento. Sul set, dopo il primo provino – destinato a
rivelarsi decisivo –, Laura conosce Stefano, un trentacinquenne attore ormai
affermato e già sicuro del ruolo di protagonista maschile. I due risultano fin
da subito antitetici sul fronte della recitazione: Laura ritiene di dover
provare le emozioni del proprio personaggio, mentre per Stefano la
recitazione è una questione soprattutto cerebrale, soltanto un fatto di
tecnica. Entrambi al contrario vivono un momento di incertezza esistenziale:
Laura, che ha vissuto in modo disordinato e dunque non riesce ad aver fiducia
in se stessa né a credere fino in fondo alla grande opportunità professionale
che le è stata concessa; Stefano al contrario è in piena fase di fuga dopo
l’insuccesso del suo ultimo film, da una parte vorrebbe incantare nuovamente il
pubblico e dall’altra dare più spazio alla sua vita privata, recentemente
disturbata dalle continue telefonate di un mitomane. Sul grande schermo la
coppia si ritrova a dar corpo ed anima al film interno a La vita che vorrei,
una storia che ricorda da vicino La Traviata:
Eleonora, donna di facili costumi legata ad un nobile debosciato, s’innamora,
corriposta, di un uomo che non può avere né per stato civile né per posizione
sociale, Federico; dopo un breve interludio la donna rinuncia dunque al suo
oggetto d’amore per ammalarsi di tubercolosi e morire in solitudine. Con la
complicità dela storia d’amore metacinematografica tra i due protagonisti non
tarda a sbocciare una relazione anche
nella vita reale, ovviamente complicata e dall’esito, se non tragico, almeno
sorprendente. Puro metacinema al cento per cento, un vero atto d’amore che Piccioni ha rivolto al
suo ambiente, ricostruito in dettaglio in tutte le fasi salienti che
accompagnano la genesi di un film: i provini on stage, gli screzi tra
attori, i tagli (talvolta dolorosi) del regista, le riprese difficili (anche un
ciak ripetuto ad libitum), i rapporti a corrente alternata tra attori ed
agenti, le cene con i produttori, le anteprime alla moda, le variazioni in
corso d’opera. Alla fine non si sa se prevale la storia di primo o secondo
grado, e certo ne La vita che vorrei c’è anche un po’ troppa compiacenza
nel raccontare, perché Piccioni pare non voler rinunciare (al contrario del suo
corrispettivo nel plot) proprio a nessun dettaglio: quel che è certo è
che Lo Cascio si
conferma come il più bravo dei giovin attori italiani emergenti, e la
Ceccarelli è bravissima in un ruolo più brioso di quelli minimalisti cui ci ha
abituato finora. Decisamente da provare.
La vita che vorrei, regia di Giuseppe Piccioni, con Luigi Lo Cascio, Sandra Ceccarelli, Galatea Ranzi; sentimentale; Italia; 2004; C.; dur. 2h e 5'
Voto
7/8
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