Uno spettacolo di risate preventive a capitoli. Ridere è meglio di
curare. Dopo “Il
Signor Rossi e la Costituzione”, il secondo atto, “Il Signor Rossi contro
l’Impero del Male” è l’abc della satira politica senza false polemiche,
senza isteriche prese di posizione, al di là di tutti i celentanismi
demagogici e strumentali. Paolo Rossi non è né “lento” e neanche “rock” e
francamente se ne infischia di queste stereotipizzazioni da quattro soldi. Fa
ridere non c’è che dire, e di gusto, ma senza imbroglio. Non vuole venderti
niente, né pentole, né idee, né alcuna tessera di partito. Mette in campo la
sua arte, e lo fa benissimo, con scioltezza da acrobata nel suo corpo
istrionico e mollemente plasmabile, nelle sue voci, nel “cazzo” che usa come
intercalare, virgola e pausa. Oltre due ore di sano varietà, oltre tutti i Montesano di questo
globo che ancora spacciano la satira per qualcosa che non ne ha neanche il
lontano e vago sentore. Ci sono gli attacchi, ci sono le stoccate, ma è un
colpire a salve, per mettere sul piatto della bilancia un dato di fatto e
riportarlo sul palco in forma di sketch: il risultato è assicurato, il pubblico
non si sente cretino ed incompetente nel sentire la lezioncina dotta, vedi la Guzzanti o Grillo, il divertimento
al top. Una mimica facciale e d’espressione che lo avvicina a Cochi e Renato,
mentre per l’affabulazione il campo è quello di Luttazzi. “Berlusconi
ha detto: “Io sono il bene”, ecco ho già sbagliato il titolo”, esordisce, “ci
sono ancora pochi mesi per poterlo sfruttare – continua candido – e poi non è
deontologicamente corretto parlare male dei colleghi, soprattutto se sono più
bravi di te”. Al suo fianco la poliedrica formazione del “Teatro di
Rianimazione”, gruppo cosmopolita di attori, danzatori, musicisti: italiani,
africani, arabi, albanesi, ed una spalla sosia di Bisio. C’è il capitolo 1 con
gli italiani alla fermata del tram che hanno paura degli immigrati, alla Aldo, Giovanni e Giacomo,
il capitolo 2 con il Signor Rossi che spiega l’Italia agli stranieri. E si
parla di immigrazione e di Lega e Nord Est “con gli industriali che risparmiano
sulla manodopera e come puttanieri”, dell’articolo 11 della Costituzione, “in
prima linea chi vuole la guerra”, di Licio Gelli e della P2, “al quale
Berlusconi ha rubato le idee e non ha pagato la Siae”, senza dare assiomi e
verità cadute dall’alto, ma ridicolizzando aspetti quotidiani e notizie reali.
Poi le canzoni tutte stravolte nel testo: “Satisfaction” medley con “L’uva fogarina” che
parla della Cuccarini, “Gastone” riferito al Presidente del Consiglio, una
melensa “Smoke on
the water” eseguita con un solo di fisarmonica. Un fazzoletto bianco
sventola sempre nelle sue mani: per salutare alla Olio, per evidenziare i
movimenti alla Charlot.
“L’Italia è bagnata da tre mari e prosciugata da Tremonti”, il Saschall si
sganascia. Il capitolo 3 è “La famiglia media rovinata dal 21 pollici” sulla tv
che specula sulle disgrazie della gente, il 4 è “Il Signor Rossi al night” con
un gay isterico, facente parte delle Brigate Renato Balestra, con il phon in
mano, vestito da militare, la voce alla Zero ed i capelli alla Enzo Paolo
Turchi che vuole esportare la bellezza occidentale nei paesi canaglia. Nel 5 le
Ronde Borghezio, nel 6 la caduta dal ponte, nel 7 l’istituzione del teatro
obbligatorio con le “Lecciso che fanno “Le Troiane” di Euripide”. Inchino e
delirio.
Voto
8
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