In momenti come quello attuale
dove le parole “mobilità”, “flessibilità”, “precariato”, “mobbing”
sono diventate più usate di pane e companatico, lo
spettacolo grottesco, dal titolo wertmulleriano,
“L’arte e la maniera di abbordare il proprio capo ufficio per chiedergli un
aumento” di George Perec, testo degli
anni ’60 ma purtroppo reale e contingente, cade a fagiolo. Ad un tavolone, come
se anche gli spettatori fossero all’interno di un ipotetico consiglio
d’amministrazione o stessero prendendo appunti ad un seminario, meeting o breafing ancora meglio,
la manager in gessato, forse Armani, spiega, aiutata dalla classica lavagnetta
illuminata con numeri e cifre e dati e parole in maiuscolo come se i candidati
fossero o ciechi, forse accecati dal potere, o bambini delle elementari. Sul
tavolo un po’ di tutto: matrioske, parole crociate,
stilografiche, dadi, spiccioli, sirene dei pompieri, libri, un pallone da
football americano, un pupazzo di Linus,
tazze, giochi in scatola, le quaranta carte, un microscopio, telefoni, una
macchina da scrivere, rubriche, un disco orario, un
mappamondo formato mignon, un tamburo, bicchieri, confetti, guanti e altri
mille oggetti sparsi. Tutti però servono per la narrazione, un’ora e
quarantacinque a perdifiato, quasi un continuo scioglilingua labirintico della brava Rita Maffei
senza sbavature con un testo così
girotondino ed arzigogolato, e sono contrassegnati da etichette come l’archiviazione
su un luogo del delitto. Ricorda un po’ la sit com “Camera Cafè”. Odore di call
center. Organigramma e ironia caustica. La riflessione sul mondo del lavoro: uno zoo di squali, vipere,
iene e avvoltoi. Il nostro impiegato modello, un po’ Fantozzi
, un po’ Mister
Bean, si adopererà in tutta la propria ineccepibile carriera, e vita perché l’azienda ti succhia
l’anima, cercando lo stratagemma ideale per raggiungere il capo ufficio e
spiegare le ragioni che lo hanno portato nei piani alti
del grattacielo- organigramma- piramide- punta dell’iceberg per chiedere quello
che ritiene un suo sacrosanto diritto: un minimo leggerissimo aumento-
adeguamento dello stipendio mensile. Ogni lavorante è contrassegnato da una
lettera, siamo tutti spersonalizzati, siamo numeri e non persone, facciamo
volume, trattati senza umanità. Gerarchie da seguire,
burocrazie interne alle quali sottostare in un sistema- regime, tutto vero
purtroppo, che avvicina i liberi cittadini forniti di badge da strisciare più
alla categoria dei sudditi che a quella degli stipendiati. La
meritocrazia è stata licenziata. Non più dipendenti ma soltanto sottoposti. In
tutti i sensi. Gli uomini sono pedine di una scacchiera fumosa, di un alveare a
più tentacoli dove perdersi tra le scartoffie inutili del terziario. La
frustrazione è l’unica merce di scambio dell’impiegato, la
sua sfiducia, svogliatezza, delusione si ripercuote sul suo lavoro,
svolto poco e male, sulla famiglia, diffondendo infelicità nella società
moderna capitalista occidentale. Aspettando le ferie per
arrabbiarsi in fila a Ferragosto andando tutti sulla stessa spiaggia affollata
attendendo con ansia settembre per ricominciare a soffrire. Siamo uomini
o caporali?
Voto
7
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