Motus
x.02 movimento secondo
X (ics) Racconti crudeli della giovinezza. Con Silvia Calderoni, Dany Greggio, Sergio Policicchio, Mario Ponce-Enrile, in video Adriano Donati, Sid-Hamed Mechta, i gruppi musicali Foulse Jockerse e Tomorrow Never Came, text compositing Daniela Nicolò, video compositing Francesco Borghesi, sound compositing Enrico Casagrande, luci Daniela Nicolò, produzione video Motus & Francesco Borghesi (p-bart.com), riprese Francesco Borghesi, Daniela Nicolò, sound design Roberto Pozzi
al Teatro Studio di Scandicci da venerdì 28 a domenica 30 marzo 2008
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Un road movie statico, niente Kerouac, qui l’unico
movimento è l’adrenalinico saltare le strisce della careggiata, di pezzi
segmentati di scotch, per una gara d’immortalità e clacson, tra un pannello
video che fa da sfondo e cinema e imbuto e tunnel, ma anche muro e muraglia di
palazzi, la strada ricreata, la panchina annoiata ed assonnata. Cinema, teatro
o concerto l’“Ics” dei Motus. Una Nikita (Silvia Calderoni) lanciata
sui rollerblade, più una blade runner adamitica e liscia, taglia, sfiorandoli e
raccontandoli, il grigio dei caseggiati che si espande e forma, e distrugge,
quel panda da estinzione, e protezione, che sono i giovani, le loro vite, le
loro periferie. Ma il proteggere sa anche di cappella di vetro, di capsula, di
provetta, dove dentro tutto funziona basta non guardare mai fuori. L’hip hop
scandisce la noia dell’aspettare, il punk (una band in video si chiama
“Tomorrow never came”, il domani non è mai arrivato) tenta di distruggerla ma
ne sottolinea soltanto i silenzi alla fine dell’urlo. Perché anche l’urlo
finisce e si appiattisce, così come le spalle si incurvano, la violenza diventa
depressione ed autolesionismo di cappucci in testa a coprire l’identità
d’anagrafe, l’etichetta ed il marchio. Questi ragazzi arrabbiati sono parte
della strada, sono la strada stessa, sono loro che gridano che non vogliono
crescere come già “raucò” Tom Waits (“I
don’t wanna to grow up”) con le sue grattugiate corde vocali prima di passarla
ai Ramones. Ma se il capitalismo evita di
morire di fame, ha abbassato la soglia della noia che chiude claustrofobica in
bozzoli di bruco con ali di miele che non sanno sbattere per alzarsi ed allontanarsi
dall’intorno ghetto che diventa autoesclusione e voluta emarginazione da “voi
non mi avrete mai”, fino al confondersi, ombra di carne nell’ombra dei
casermoni, nel cespuglio del nichilismo, come una strada percorsa e solcata,
battuta senza lamenti, incrostata e immobile, ferma, che potrebbe portare
altrove, forse ai fasti di fuochi d’artificio, ma che è un inutile vile percorrere
di bombe.
Voto
8
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