Bobo Rondelli
Cioni Mario
Di Alessandro Benvenuti
Al Teatro Puccini di Firenze il 9, 10, 11, 12, 13 marzo 2005.
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Camminata da cameriere stanco che ne ha viste troppe, balbuziente alla Woody Allen del Tirreno, stropicciato e grinzoso con la faccia di mollica e rughe ammiccanti.
Impossibile non amare Bobo Rondelli, il cantante degli Ottavo Padiglione prestato al teatro, vero animale da palcoscenico, nuovo Benigni in questo remake del celebre monologo di “Berlinguer ti voglio bene” di Bertolucci, qui sostituito alla regia da Benvenuti.
Quaranta minuti di parolacce e bestemmie per descrivere un antico mondo, felice?, che adesso non esiste più: il sottoproletario diviso tra Casa del popolo e cinema porno, tra Almirante ed il mito di Berlinguer, le prostitute, il sesso facile ed il rapporto edipico con la madre, il tutto senza coscienza di classe ma con un drammatico abbraccio comico della disperazione.
La scenografia è soltanto la faccia del Rondelli sotto una lampadina da interrogatorio bulgaro.
Il racconto è frammentario ma diabolico, esilarante e debordante, mentre a poco a poco esce fuori l’istrione livornese con le immancabili imitazioni del cavaliere, di Mastroianni, di Gasmann.
Qui finisce “Il Cioni Mario” e comincia il one man show cabarettistico con un duo alle spalle e la chitarra in braccio: “Gigolò a Rotterdam”, “Gardaland” e “Bergamo Safari”, con le imitazioni prima di un marocchino e poi di un cammello, tra il delirante, il machista, l’irriverente e il demenziale.
La voce, un po’ Conte, rauca nel suo recital- concerto ha il suo punto di massima espressione in “I don’t wanna grow up” (Non voglio crescere mai) di Tom Waits, l’aveva già tradotto in versione “seria” Ruggeri facendola cantare alla Mannoia, qui ridisegnata alla leggera tra qualche sonoro “vaffa” di troppo e la sensazione di italiano medio volgare in gita all’estero.
Solite divagazioni ripetitive, invettive sul Papa, Bruno Vespa, Del Piero, il Grande Fratello, Bin Laden, Bush, Saddam, Afghanistan e Carlo Giuliani, Fini e gli ebrei, sinceramente un patchwork per orecchie sensibili, un pastone per stomaci allenati, un miscuglio di cocktail non molto ben shakerato.
Si riscatta con il partito delle B.R., Bradipo Rivoluzionario, contro la produzione sulle note dell’Internazionale, sottolineando la sua vera vocazione per il cabaret, nel quale eccelle, più che come politico da balera, da periferia, pieno di demagogia e luoghi comuni.
Peccato, ormai con la chitarra in mano si poteva anche fare, che manchi l’ultimo acuto che avrebbe potuto essere "L’inno del corpo sciolto" sana chiusura e chiosa ad un omaggio tutto toscano.
Voto
6,5
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