Flavia Mastrella e Antonio Rezza
Bahamut
con Antonio Rezza e Armando Novara, Daniele Bernicchia, allestimento scenico Flavia Rastrella, collaborazione alla regia e all’ispirazione Massimo Cavilli, disegno luci Maria Pastore, regia Flavia Mastrella e Antonio Rezza, prodotto da CRT Artificio Milano
Al Teatro Puccini Firenze il 22 e 23 marzo 2007
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Chi ha i biglietti in prima fila
si sposta sommessamente, testa china a guardarsi i piedi nascondendo il
tagliando, all’indietro come un gambero nel fango di Mont Saint Michel. Il pubblico,
mezza vuota la sala del Puccini, teme Antonio
Rezza, questa è la sua forza come i vecchi comandanti di navi, tanto amati
quanto odiati. Siamo dentro un gioco al massacro, una performance che ha
tremendamente bisogno e trae ossigeno dalla platea: senza non esisterebbe al di
là della mitomania del capopopolo dal palco che inneggia vorticosamente a se
stesso. Si ha l’impressione che il pubblico sia lì davanti in adorazione ad
idolatrarlo soltanto per un deficit di autostima, pagando, come con una
prostituta o con l’analista (Woody
Allen sarebbe d’accordo), nel tentativo di colmare il gap, il nervo
scoperto, e riuscendo soltanto nel tentativo opposto di affossarsi ed annegare,
consapevolmente e colpevolmente, nel magma dell’ignoranza presunta e accertata.
Siamo davanti ad un artista che ha fatto della propria vita un’opera d’arte? Se
si tanto di cappello. Ma stupisce sempre il finale degli spettacoli di Rezza con salti
continui da Diavolo
della Tasmania, ballerino di flamenco, come a schiacciare le formiche
presenti sulle poltrone vellutate urlando soltanto “Io”, con le braccia al
cielo come Cristo brasileiro, con i pugni in alto come campione di Formula Uno sul
podio. Autoacclamato, eccessivo, invadente, autoreferenziale. Cinque lunghi
minuti di applausi senza il classico sipario che si apre e si chiude. Rezza
chiede, e ottiene e pretende e costringe con autorità, una perenne conferma con
sonori battimano. China la testa, ma mai inchina, come a sottolineare che
l’applauso è l’unica cosa che viene concessa al pubblico per essere, per
esistere, gente misera e meschina che è arrivata fin lì, pagando addirittura,
per sentirsi meno, sotto al palco, inferiori davanti al Re, al Dio dei
palcoscenici. Lo schema rimane enigmatico teso ad una facile non comprensione,
ad una comunicazione smozzicata volta a sottolineare l’imprescindibilità e
l’essenza del one man show. “Rivuole i soldi indietro signora?”, sempre
arrogante e duro e inflessibile con faccia da Totò, profilo greco dantesco,
mento volitivo da Dux,
cespuglio alla Caparezza. “Nei diciotto euro non era compresa la comprensione,
se voleva capire doveva pagare molto di più”. E’ Rezza il “Bahamut” che dà il
titolo all’ultima prova? Bahamut
era un pesce colossale della cosmologia musulmana, una creatura di nobili
origini, una divinità. Quasi da balcone imperiale con le mani sui fianchi. Provocatorio
nel suo quadrato di stracci e teli con il classico buco centrale (da
“Coriandoli” in poi il suo geniale marchio di fabbrica), lembi di tessuto da
nascondere con un cucù. Dal foro, a metà tra il preistorico ed il futurista,
viene espulso, come dall’Eden, partorito ma storpio, paralizzato, menomato,
malato terminale immobile ed immobilizzato, “in ginocchio, ma mai di fronte a
Dio”. Ora è un nano, sempre e comunque politicamente scorretto, ora una donna
incinta tentennante sull’aborto, “mai più spargimenti di sangue, neanche in
quei giorni lì”. La potenza del testo sono proprio i salti logico- culturali
che da un lato straziano e stancano la vista e dall’altro stimolano.
Voto
8
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