Capita di rado nell'editoria cinematografica del nostro bel
paese di trovare un saggio dedicato ad un regista del passato, che non sia
chiaramente un nome di riferimento o di fama come può essere Federico Fellini. Finalmente mi è
capitato di avere tra le mani un volume su Florestano Vancini,
regista ferrarese che inizia intorno agli anni cinquanta come documentarista
per approdare al lungometraggio nel 1960 con La
lunga notte del '43 da molti considerato il suo capolavoro. Vancini è uno
di quei autori che spesso vengono rimossi dalla memoria, perché risiedo in un
periodo fulgido e creativo che ha portato linfa vitale al nostro cinema insieme
a registi che hanno ottenuto più fama e successo, ma che comunque sono
importante per il loro discorso personale che segnano un epoca in modo
indelebile. Un attività frenetica quella dell'artista ferrarese coinvolto per
oltre cinquant'anni in un attività rivolta allo studio e l'amore per le
immagini, che l'hanno visto partire prima come critico cinematografico per poi
entrare nel mondo del cinema, attraverso il documentario e le aiuto-regie al
fianco di Mario
Soldati e Valerio
Zurlini, fino al suo debutto dietro alla macchina da presa, passando
attraverso la televisioni e la lirica, con una passione sempre rinnovata e
stimolata da una voglia di cimentarsi con nuove sfide. Un libro ben fatto,
corredato con schede riferite alle sue opere con le osservazioni e le critiche
dei recensori di quel periodo, fornendoci una documentazione impeccabili,
impreziosita dai suoi commenti sull'arte del cinema e sui progetti filmici
abortiti o sceneggiati ma purtroppo mai realizzati. Per molti un regista
fantasma, spero ancora per poco, visto il suo patrimonio di opere importanti
che lasciano le tracce di un passato illustre che forse il nostro presente non
saprà ricreare. Questo libro e una bella retrospettiva (chissà nella sua città
natale ), sarebbe un bel omaggio per un regista dimenticato come Florestano
Vancini.
Voto
7 1/2
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