Ogni tanto capita di girare nelle librerie e semplicemente,
come accade di solito per caso, vedi che è apparso un nuovo castoro questa
volta dedicato ad un regista che consideri di alto livello, ma spesso viene
snobbato o dimenticato. Prendi in mano il volume e la copertina si presenta
sotto gli occhi con una scena sfuocata di un grande film come Heat. Michael
Mann è un nome che spesso viene, a torto, messo in correlazione con quel
nucleo di registi interessanti, ma eternamente classici ( in senso
cinematografico ) che non trovano molti ammiratori. Questo lavoro appassionante
del giovane critico Pier
Maria Bocchi, che collabora stabilmente con le riviste FilmTv, Cineforum e
Nocturno, riesce attraverso ad una intervista iniziale di lucida analisi, a
mettere in correlazione i temi trasversali che attraversano la filmografia di
Mann. Un incontro aperto, che ci introduce una personalità consapevole del suo
ruolo di autore dentro l'industria Hollywoodiana, capace di distinguersi per la
sua ricerca personale ostinatamente priva di compromessi con le regole del
mercato. Michael Mann ha iniziato la sua carriera con Jericho
Mile, che è un film carcerario, dove il protagonista Larry Rain Murphy a l'unica cosa che sa fare, correre, in un
mondo che non sente suo. Un film anticipatore dei temi portanti del regista,
che disegna Larry con un carattere forte e integro, diventando il vero eroe
manniano in un mondo dove bisogna recuperare dignità e respiro esistenziale.
L'opera successiva, Strade violente, porta a compimento le istanze dell'autore
attraverso il destino di Frank, che vuole dopo il suo ultimo colpo abbandonare
la vita di ladro, ma sarà dura eliminare i legami esistenti. Un film che
incessantemente porta con sé la natura dell'uomo, con i sentimenti e le
traversie di un mondo caotico, regolato da un destino ingannevole, che non
lascia scampo. Un opera come Manhunter,
rappresenta la profonda energia creativa di un regista che alimenta la pellicola
di connotazioni postmoderne, che sanciscono la fine di un modo di fare cinema a
metà degli anni ottanta, costruendo un capolavoro su frammenti riflettenti, dai
doppi risvolti, che sanciscono il passaggio doloroso della vita dei
protagonisti. L'ultimo dei mohicani, invece è il ritorno di Mann al
genere classico per eccellenza, che ritornerà anche nelle pellicole successive,
dove però il linguaggio cinematografico si trasformerà gradualmente attraverso
l'utilizzo di un montaggio ellittico e sfuggente, che sta a s l'incapacità di
afferrare il reale, nelle sue mutazioni perenni, dove i personaggi sono in
balia del destino che induce al fallimento personale. Heat,
Insider e l'ultima opera, Alì, testimoniano la statura autoriale di questo
regista in maniera inequivocabile. Pier Maria Bocchi ci catapulta nel mondo
manniano, con una energia espositiva accattivante, pronto a svelare tutte le
sfumature del caso, grazie ad una competenza che si rivela illuminante come nel
caso delle analisi riguardante Manhunter e Heat, ma anche per quanto concerne
la vasta produzione televisiva dagli episodi di Miami Vice a
Crime Story . Insomma, un castoro da acquistare subito per avvicinarsi al
cinema del grande Michael Mann.
Voto
8
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