Repellente, orrendo, schifoso, sgradevole, grottesco,
abominevole, odioso, indecente, immondo, sporco, osceno, ripugnante,
spaventoso, abbietto, orribile, orrido, orripilante, laido, terribile,
terrificante, tremendo, da incubo, mostruoso, ripulsivo, disgustoso,
nauseabondo, fetido, spaventevole, ignobile, sgraziato, spiacevole, pesante,
indecente, deforme, difforme, sfigurato: questi sono solo alcuni degli
aggettivi con cui si parla e si rappresenta la bruttezza. Di ognuno di questi
aggettivi Umberto Eco fornisce, nel suo
libro “Storia della bruttezza”,
esempi letterari e artistici. Dopo secoli di estetiche della bellezza,
finalmente anche la bruttezza ha una sua storia, finalmente costituisce un
campo d’interesse ben definito. Si dice che ''Le ombre contribuiscono a far
risplendere meglio le luci”; si tende quindi a considerare il brutto come
semplice concetto la cui presenza è giustificata unicamente dalla sua funzione
antitetica rispetto al bello, quasi che la definizione dell’uno implichi necessariamente quella dell’altro, in un
rapporto di dipendenza in cui il soggetto principe è sempre e comunque la
bellezza. Da Platone in
poi, infatti, i pensatori di ogni secolo hanno scritto sul bello, mentre
l’unica estetica del brutto è quella di Karl Rosenkranz del 1853 (edita in Italia dal Mulino,
a cura di Remo Bodei). Ma, come ci fa notare
Eco, le manifestazioni della bruttezza
attraverso i secoli hanno risvolti più ricchi e imprevedibili di quanto si
possa pensare. Il vero flirt dell'arte con il brutto esplode in epoca
romantica, ed è proprio Hugo ad introdurre l’idea che
l’arte cominci col brutto, e a creare l’informe
Quasimodo. Ed è quasi nella stessa epoca che si
impone la bruttezza del mondo industriale di Dickens,
la figura del malato e il culto del mortuario ( con La Traviata di Verdi e
Fosca di Tarchetti), la poetica della decadenza di Baudelaire. Per
comprendere l’effettiva percezione del brutto nelle varie epoche è necessario
quindi avere come riferimento le sue rappresentazioni artistiche; ma, mentre è
molto semplice effettuare una storia della bellezza seguendo precisi criteri
storici e temporali, per poter effettuare un’analisi organica e verosimile del
brutto è spesso necessario confondere le epoche, procedendo non per secoli ma
per temi. E infatti il libro è suddiviso per capitoli che confondono le epoche
della nostra cultura con temi specifici, come il Diavolo, la stregoneria, la
donna, il mostro. E, anche se Eco ci avvisa che “il brutto è relativo ai tempi
e alle culture”, è anche vero che una cosa orribile resta orribile: ciò che
cambia è la nostra disponibilità percettiva, il sentimento del disgusto e
dell’orrore. Per capire la bruttezza, come la bellezza, bisogna soffermarsi sui
vari momenti storici, sul susseguirsi di canoni estetici. Ma è sbagliato
pensare che per capire i gusti di un'epoca vadano ascoltati soltanto i filosofi
e i letterati, anzi, è necessario capire soprattutto cosa fosse la bruttezza
per la gente comune. Il discorso dell’autore spazia quindi dall’arte classica,
con riferimenti alle Arpie, ai Ciclopi e al Minotauro, passando per la satira
di Orazio e Marziale e
proseguendo poi con i versi di Cecco Angiolieri e Boccaccio, e ancora riflettendo sul rapporto tra estetica
e rappresentazione del dolore partendo dal concetto hegeliano secondo cui “il
brutto entra nell’arte solo col cristianesimo” , per arrivare, attraverso Bosch e Lombroso
(con i suoi studi sulla fisiognomica, riconducibili in qualche modo al concetto
di kalokagatìa greca), al moderno “trionfo del
brutto”, in cui la bellezza non è più una categoria usata nel giudizio
estetico, ma è sostituita con quella di sperimentazione formale; l’opposizione
sparisce, e brutto e bello diventano due
opzioni possibili da vivere in modo assolutamente neutro. Ne è un esempio
l’opera “I bimbi morti” di Maurizio
Cattelan, messa in
scena del disagio di tanti giovani, schiacciati dalle contraddizioni di una
contemporaneità disincantata nella quale faticano a trovare un loro spazio,
concretizzazione delle paure del terzo millennio, ma soprattutto racconto amaro sull’infanzia urbana, epilogo
di una favola che trova le sue radici molto indietro nel tempo.
L’installazione, per quanto cruda e sconvolgente, non ha però avuto un impatto
univoco: dimostrazione di come bellezza e bruttezza non costituiscano più
categorie estetiche assolute, per quanto siano le due facce della stessa
medaglia. E ancora, dicotomia nelle reazioni ha suscitato la campagna
anti-anoressia ideata da Oliviero Toscani e interpretata dalla francese Isabelle
Caro, ex-modella di 31 chili. Censurata in molte città, osannata in altre,
la campagna mette in scena l’orrore dell’anoressia, mette in piazza quello che
c’è dietro le figure patinate e spettacolarizzate che ogni giorno ci vengono
proposte come modelli di bellezza, come esempi da seguire; è il paradosso la
vera provocazione, la reale causa del “nostro” stupore. Bombardati da tutta la
vita da vestiti taglia 38, dall’ondata massmediatica di colli da cigno e gambe
da fenicottero, dalla comune e condivisa convinzione di chaneliana memoria,
secondo cui “non si è mai troppo magri e mai troppo ricchi”, persuasi della
necessità di una magrezza a tutti i costi come prezzo dell’accettazione
sociale, rimaniamo a bocca aperta di fronte alle reali conseguenze della
ricerca della presunta “perfezione” fisica: non ci piace riflettere su un corpo
denutrito, lanuginoso e fragile, ci disgustano i segni della psoriasi,
distogliamo lo sguardo da un’ essere così palesemente distrutto, ci rivolta lo
stomaco il manichino privato del suo abito. Eppure, nonostante il ribrezzo che
ci evocano quelle ossa scoperte, rimaniamo a guardare, attoniti e affascinati.
E’ la seduzione del brutto, il suo implicito ma palpabile legame col bello, il
fascino del freak. Ed è questo che vuol dirci Eco nella sua “Storia della
bruttezza”, è questo che si percepisce osservando e leggendo; un paradosso così
intuibile che persino il primo editore straniero che ha esaminato l’opera non
ha potuto che esclamare: “Com’è bella la bruttezza!”.
L’altra faccia
della medaglia

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Il rapporto tra
bello e brutto
Visto da Toscani
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Le favole
metropolitane di Cattelan

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Oltre alla recente “Storia
della bruttezza”,Umberto
Eco ha pubblicato, nel 2004
una “Storia della bellezza”,
in cui si avvale
della storia dell'arte e
della storia dell'estetica
per ripercorrere la storia
di un'intera cultura.
Il volume è edito
Da Bompiani nella
Collana “Saggi”.
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La campagna contro l’anoressia
ideata da Oliviero Toscani è stata realizzata
per la griffe Nolita. Approvata
dal
ministro della salute Livia Turco, si rivolge
in particolare alle giovani donne attente
alle indicazioni della moda e intende
richiamare l’attenzione dell’opinione
pubblica sulla malattia che, insieme alla
bulimia, colpisce in Italia due milioni di
persone.
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Esposta il 6 maggio 2004 in
Piazza XXIV Maggio a Milano,
l’installazione ha suscitato
reazioni da una parte entusiaste, dall’altra
inorridite, portando addirittura
uno
sdegnato spettatore ad
arrampicarsi sulla quercia
“incriminata” allo scopo di
liberare i manichini.
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Sitografia e fonti: La Repubblica,
Cultura e Spettacolo
Yahoo, Notizie e società
Wikipedia
L’Espresso
Ansa
Il Messaggero
Approfondimenti: Maurizio Cattelan
Nolita
Umberto Eco
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