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la band
dei “mirtilli rossi” con un disco che ricompone le venature tristi e
cupe del loro passato recente, sia musicale – ascoltare in merito No
need to argue del 1994 e To the faithful departed del
1996, a tutt’oggi l’ultimo album pubblicato dai Cranberries – che personale – il
riferimento è soprattutto alle vicissitudini medico-psicologiche attraverso le
quali la cantante Dolores O’Riordan è dovuta passare –. Tutto sembra finito,
comunque, e il gruppo di Limerick lo
testimonia con un disco solare che, fin dal titolo, invita a “sotterrare
l’ascia”: un’offerta di pace insomma, che li riconcilia con un passato nel
quale si vociferava perfino di un loro possibile scioglimento. Rispetto ai due
album precedenti Bury the hatchet scioglie i legami del gruppo con la new wave, mentre si accentuano
decisamente le esercitazioni in direzione pop
rock, col folk come genere di
contaminazione costante nel loro repertorio. Questo nuovo senso di ridente
freschezza e solarità lo si avverte fin dalle prime note di Animal instinct, il pezzo apripista
della scaletta dei quattordici brani complessivi, o nel movimentato singolo Promises, delicatissimo nella verve di stampo rock che lo contraddistingue. Decisamente riuscite anche le canzoni
più introspettive e personali, come You
and me, la bella Saving grace, Desperate Andy – una ruvida ballata rock di grande impatto emotivo –,
l’intensa What’s on my mind e Dying in the sun – dominata dalla
straordinaria voce della O’Riordan,
semplicemente toccante nella sua intensità –. E sono sorprendenti anche i pezzi
di marca più strettamente rockeggiante, come Loud and clear e la ridente Copycat.
La cosa più difficile sembra insomma tracciare indicazioni di priorità
all’interno di Bury the hatchet, un disco che sembra non vivere
mai momenti di pausa artistica. Album notevole.
Cranberries, Bury the hatchet [Island 1999]
Voto
7½
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