Anagraficamente si chiama Mario Ranno, è nato a Catania nel 1971 ed è cittadino parmense da parecchio tempo: il suo pseudonimo
è un omaggio al padre, che si esibiva come cantante col nome d’arte di Stefano
Biondi. Appassionato di musica soul
fin dalla culla, Mario Biondi non
sembra avere le carte in regola per sfondare, per quanto sia
in possesso di timbro vocale che ricorda pericolosamente quello di Barry
White; si perfeziona comunque nel canto in inglese, forgiando il proprio stile
su artisti del calibro di Isaac Hayes e
Al Jarreau. Dopo
tanta gavetta sui palchi di tutta Italia, Mario Biondi pare però destinato ad esprimersi soltanto come turnista negli studi di
registrazione. La svolta della vita arriva, come spesso succede, in modo
assolutamente casuale: nel 2004 incide una cover
di This is what you are, un singolo concepito per uscire nel mercato
giapponese, ma che nonostante questo arriva alle principali radio d’Europa,
finendo anche nelle mani del celebre DJ britannico Norman Jay, che lo
apprezza ed a sorpresa lo inserisce in scaletta nel
suo programma sulle frequenze della BBC1. Da allora tutto è stato in discesa:
un apprezzamento unanime di pubblico e critica, il successo con l’album
d’esordio Handful Of Soul, che ha
fatto conoscere Mario Biondi anche a livello internazionale, collaborazioni
illustri, concerti esauriti, un live.
Nel frattempo con certosina dedizione il cantante catanese ha composto undici
canzoni originali per l’attesa seconda prova, in cui hanno trovato spazio anche
tre cover ed
un inedito firmato nientemeno che dal grande Burt Bacharach, con cui Mario Biondi ha collaborato
nelle date italiane dell’ultima tournée europea
del celebre compositore americano. Il disco s’intitola If ed è
stato realizzato con i fidati collaboratori di sempre, ma si tratta di un album
che non si limita soltanto ad essere una gradita
conferma per gli estimatori biondiani della prima
ora, mostrando invece un evidente passo in avanti per questo cantante in
possesso di una voce davvero unica, geneticamente concepita per il soul jazz verrebbe da aggiungere. Si
comincia a marce contenute con Serenità, poi arriva la deliziosa Something that
was beautiful, la perla cortesemente elargita da Mr. Bacharach, ed a ruota il
contagioso singolo Be Lonely, caratterizzato da
intriganti sonorità tipicamente disco
e vagamente assonante con la successiva Love Dreamer.
L’album prosegue con le atmosfere ombrose ed
avvolgenti dall’elegante Blackshop e quindi con
l’irresistibile leggerezza che colora la splendida title track, la gemma più luminosa del disco,
che continua con le sonorità mazzate di I Wanna Make It e quindi con le
contaminazioni funk di No mo’ trouble. If ha
ancora molto da offrire: una ballata dirompente ed emozionante come Ecstasy,
aperta in direzione gospel, una magia in
portoghese come Bon De Doer, realizzata in
collaborazione col musicista brasiliano Ricardo Silveira
e con il chitarrista Giovanni Baglioni, quindi un trittico di cover tra le quali spiccano in
particolare I Know It’s Over, riuscitissima versione in chiave rocksteady di E se domani, brano interpretato many
years ago da Mina, e Winter in America di Gil Scott Heron.
Un disco assolutamente da non perdere. Vivamente consigliato.
Voto
8
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