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Femme fatale
Carrellate
vertiginose, sequenze al ralenti in serie, uso smodato dello split-screen,
un finale a doppio fondo, un processo narrativo tempestoso e che non fornisce
troppi aiuti allo spettatore, costretto ad interpretare la storia nel suo
sviluppo: è Femme fatale,
l’ultima opera di Brian De Palma, un
giallo con atmosfere noir ed un’intrigante ambientazione parigina.
Protagonista della storia, nei panni della femme
fatale della situazione, è la conturbante Laura Ash, bella,
sexy e deliziosamente cattiva: dopo un mirabolante furto di gioielli inestimabili in cui non ha esitato ad ingannare i suoi scafati complici, Laura ha visto la
morte negli occhi e si è vista donare su un piatto d’argento la possibilità di
un’esistenza diversa, letteralmente. Come spesso capita, sette anni dopo la
vita l’ha però riportata sul luogo del delitto, pericolosamente esposta alle
insidie dei suoi vecchi compagni, che non hanno affatto dimenticato il suo
raggiro né i gioielli sfuggiti dalle loro grinfie. Laura è
tornata a Parigi con una nuova identità prestigiosa e dunque appetibile per i
paparazzi: nonostante la donna abbia tentato con ogni precauzione di restare
lontana dai riflettori, Nicolas,
fotografo con velleità autoriali ma finanziariamente in cattive acque, è
riuscito a scattarle una foto che è finita sulla prima pagina di una rivista
scandalistica, esponendola ad un rischio mortale e costringendola a rivedere i
suoi piani ed uscire di scena, magari utilizzando il suo irresistibile charme
per muovere il malcapitato
fotografo come una pedina sulla scacchiera. In Femme fatale De Palma intriga l’immaginario dello
spettatore con una protagonista al di là di ogni redenzione (capace addirittura
di assistere ad un suicidio senza muovere un dito per trarne vantaggio),
ammicca occasionalmente al cinema a luci rosse e si diletta al contempo a
sviscerare con originalità il concetto di déjà vu (che tra l’altro è
proprio il titolo della rivista di cui sopra), accennato nel primo tempo e
basilare nel secondo, fondamentale ed insieme ingannevolmente accessorio per
decodificare il labirintico mosaico all’interno del quale si muovono i
protagonisti. Vorticoso, con i dialoghi ridotti al minimo, Femme fatale
è un film che strizza
l’occhio ad un cult del cinema noir del calibro de La fiamma
del peccato di Billy Wilder, ma De Palma non ha perso
l’occasione per citare a più riprese anche il suo nume tutelare di riferimento,
ovvero Alfred Hitchcock,
contaminando in modo originale il voyeurismo dichiarato de La finestra sul
cortile con il tema del doppio alla base de La donna che visse due volte.
Sotto questo profilo è d’obbligo segnalare il primo finale di marca acquatica,
decisamente da antologia (ed assolutamente spiazzante), capace di miscelare in
un sol colpo sogno e simbologia. Una barocca macchina d’intrattenimento filmico
volutamente eccessivo e talvolta fine a se stesso, ma ravvivato da sprazzi di
grande cinema.
Femme fatale, regia di Brian De Palma, con Antonio Banderas, Rebecca Romijn-Stamos, Peter Coyote; thriller; Usa/Fran.; 2002; C.; dur. 1h e 50'
Voto
7
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