Una calda notte romana e 30.000 persone hanno dato il loro personale benvenuto a Lou Reed, come in un immenso, eppur raccolto, teatro. Ed è lo spirito della riscoperta ad animare la notte settembrina, in cui Reed si ritrova suo malgrado a indicare ancora una volta la strada a quanti si erano smarriti fra i meandri di una lontana "Heroin" e che ancora lo vorrebbero prigioniero di un cliché ormai superato da decenni, per trasformare il parco di "Enzimi" in un immenso confessionale, ove fermarsi a riflettere e le canzoni di Lou diventano magicamente chiavi per aprire l'armadio in cui da anni nascondiamo i nostri scheletri. A farci da guida nella catarsi intima e nel contempo plateale non è più il ragazzino scarno alla corte warholiana e neppure il junkie coi capelli ossigenati e un ghigno da teschio, ma un tranquillo cinquantenne, i cui occhi scuri sono sempre quelli di chi, disincantato e consapevole, da più di 30 anni sparge il sale sulle ferite del Sogno Americano, rovistando tra i rifiuti di quell'enorme pattumiera chiamata New York, specchiandosi nelle acque scure dell'Hudson e ritrovandoci se stesso. La band, di tutto rispetto, è di quelle che Lou si porta dietro da anni: dal fido Fernando Saunders al basso, a Tony Smith alla batteria, a Mike Rathke alla chitarra; una cospirazione a 4 per l'elaborare e il reinventare ogni sera il suono scarno e minimale che fa da contrappunto alle storie metropolitane di Reed, un suono acustico oggi ridotto all'osso, l'essenza stessa del rock, sublimata come da un alambicco di profumiere. E sono subito anfetaminiche dichiarazioni d'amore e inni generazionali, "I'll Be Your Mirror", "Sweet Jane", "Vicious", "The Kids" (uno dei capitoli più drammatici del concept-capolavoro "Berlin", la cui nuova versione, pur mancando dell'orrore sonico dell'originale, viene a raggiungere vette d'intensità nuove, grazie ai toni sardonici di Lou), il ripescaggio della splendida "Kicks", "Perfect Day" (accolta dai più giovani con un boato), e poi "New Sensations" (di cui finalmente si riesce a cogliere l'intima bellezza), "Coney Island Baby" e gli ultimi lampi di "Talking Book" (presentata da Lou come "una delle mie canzoni preferite" e frutto di una collaborazione teatrale con Robert Wilson), "Set The Twilight Reeling" e soprattutto "Dirty Boulevard" tratta da quel "New York" che è stato unanimamente considerato la "Resurrezione" più eclatante della storia del rock. E l'audience si lascia trasportare, gioca con Lou, senza sentire minimamente la mancanza di luci, fumi e virtuosismi, galleggiando in un'atmosfera intima e complice, del tutto differente da quella che, in epoche più "calde", costrinse l'artista a cancellare per diverso tempo la penisola dal suo carnet personale. E alla fine giungono anche i bis, "Satellite Of Love" (se l'amore potesse condensarsi in un suono, avrebbe questa melodia), e naturalmente "Walk On The Wild Side", che la sottoscritta ha finalmente avuto modo di riascoltare nella sua più perfetta incarnazione, dopo mesi di versioni orride che spaziavano dal rap alla pseudo new wave. Il tempo è stato più che galantuomo con Mr. Reed; è diventato il suo migliore amico, l'alleato più prezioso. E pensare che anni fa nessuno ci avrebbe scommesso sopra. Casi della vita.
Voto
8
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