Tutto
si può dire dei Black Eyed Peas
meno che non sappiano cucinare qualunque cosa in salsa hip-hop. D'altra
parte è proprio con questa formula che il quartetto statunitense,
nato nel lontano 1992 da una coppia di MC e ballerini di break dance, dopo lunga
gavetta finalmente era riuscito a
conquistare l’America e poi il mondo intero vendendo oltre sette milioni di
copie di quel gioiellino di Elephunk, uscito nell'anno di grazia
musicale 2003. Con Monkey business Will.I.Am, Apl.de.Ap, Taboo e
l’ultima arrivata, la bella vocalist
Fergie, hanno furbescamente ripetuto ad arte la loro ricetta vincente (assai
funzionale in termini commerciali), con l’aggiunta di qualche celebre guest
e tante citazioni musicali più o meno illustri. L'hip-hop
d'intrattenimento easy listening proposto nelle sue mille sfumature dal pop
al funk resta la direzione privilegiata anche in Monkey Business,
album che ha già fruttato al gruppo statunitense un nugolo di hits ed
appare già avviato a bissare il successo riscosso a sorpresa dal disco
precedente. E ci riuscirà oltre ogni ragionevole dubbio, anche grazie
all’indubbia promozione di cui i pezzi godranno in radio (sembrano fatti
apposta per la diffusione via etere) e sul piccolo schermo con i relativi
videoclips, colorati e patinatissimi,
anch’essi concepiti per intrigare ad arte il pubblico di Mtv e
dintorni: insomma, un gruppo concreto dal punto di vista musicale, ma anche
molto attento all’apparenza, ad associare al proprio sound di tendenza un
look
adeguatamente bizzarro e modaiolo – a prescindere dagli eccessi di dubbio gusto
che Fergie ha mostrato in materia
d’abbigliamento –. Ma andiamo con ordine: la tracklist assortisce complessivamente
sedici tracce. D’obbligo
segnalare l'apripista Pump it, che rilegge uno dei motivi più noti della
mitica soundtrack di Pulp
fiction, quindi il contagioso singolo My
humps e l’intrigante Feel it. In ambito collaborazionistico spiccano
My style con Justin Timberlake, la deliziosa Gone going gone con
Jack Johnson e la guest de-luxe Matthew Gordon Sumner in
arte Sting nel remix formato Black Eyed Peas della sua briosa ed
elegante Englishman in New York, che in Monkey Business è
diventata Union e, soprattutto vocalmente, non pare più la stessa cosa -
i fans della band la troveranno grandiosa, mentre agli estimatori
dell'ex leader dei Police il contrasto parrà certo stridente -. Ma la
gemma invero degna di nota è certo l’irresistibile funk che colora la
contagiosa They don’t want music, dove è il vecchio ma inossidabile James Brown, dall’alto
delle sue insospettabili settantadue primavere, a dettare i tempi ai suoi emuli
del terzo millennio, tra i quali spicca una Fergie particolarmente ispirata.
Nel complesso un tranquillo disco di puro intrattenimento, sostanzialmente
privo di sorprese o di picchi creativi di sorta, ma indubbiamente contagioso.
Parafrasando i Rolling
Stones, in fondo è solo hip-hop, ma ci piace...
Black Eyed Peas, Monkey business [A&M Records 2005]
Voto
7
|
 |
|