Finiti i colorati anni sessanta,
ci si è resi conto che non è stato così. Almeno non per tutti.
Ed eccoli adesso. Sono lì in mezzo, tra un video
dei TokioHotel e uno degli Arctic Monkeys, eppure questo non gli
basta; i Rolling Stones, gli Who, Iggy
Pop sono ancora in tour, continuando peraltro a divincolarsi sul palco con
un’energia invidiabile, e insomma, dalle ultime file magari le rughe non si
vedono bene. I megaschermi, si, i megaschermi ok, si,
le foto sulle riviste di musica, si, si capisce. “Ma
noi” sembrano dire i loro sguardi nelle fotografie “noi siamo il rock. Noi ne abbiamo scritto la fottuta storia, quindi ce ne freghiamo
di quello che dice l’anagrafe. Vaffanculo l’anagrafe.”
Quando poi si ritrovano a leggere
i titoli che suonano come “Il ritorno dei dinosauri del rock” si chiedono
dandosi di gomito che cosa ci faccia vicino alla loro
foto un articolo su Marc Bolan e i T-Rex, ma
intanto sudano freddo.
Ci sono generi musicali che
ammettono la vecchiaia, anzi, quasi ne fanno un vanto. Un nostro Gino Paoli sembra quasi essere nato con i baffetti bianchi e gli occhiettini
piccoli e acquosi dietro le lenti. Un Paolo
Conte, come un Tom Waits tra l’altro,
è più solenne che mai con lo scorrere del tempo. Bob Dylan ha fatto parabola di vita il
dannunziano “cambiare o morire”, oltretutto è un poeta, di quelli che scrivono
molto e si divincolano molto poco, quindi è tutt’altra cosa. Patti Smith lo stesso, tre accordi e la
forza della parola per sua stessa definizione. Joan Baez, per parte sua, continuerà ad
essere sempre più bella e perfetta con quella chitarra classica in mano, ora
che i suoi malinconici occhi scuri fanno paio con un taglio corto argentato.
Volendo poi tornare in Italia, uno come Vasco Rossi la panza l’ha sempre tenuta,
quindi tra suoi fan accaniti e professoresse di religione che lo seguono,
nessuno fa tanto caso alla trasformazione del loro idolo in uno dei “vecchi
che invecchiano davanti alla tivù con la pipa ed uno scommettiamo in più” da
lui stesso cantati. Parlando però del rock puro, il rock’n roll delle
origini, ci accorgiamo che non solo gli ex-ragazzi sono vivi e vegeti, ma li
ritroviamo più che arzilli. Insomma, vediamo questi sessantenni che con la loro
sola presenza sulla scena musicale mettono in crisi l’estetica che loro stessi
hanno creato. Un’estetica che per definizione non ammette dentiere e pelle
cadente.
Il caso dei Rolling Stones è emblematico per raccogliere le opinioni su questa sporca
faccenda, ovvero la geriatrizzazione del rock.
Martin Scorsese si unisce con la
sua ultima pellicola sulla band inglese a quelli che
credono che la personalità di gente del genere non potrà mai essere corrotta o
modificata da particolari insignificanti come l’età. Martin è tra quelli che
vanno ai concerti degli Stones (una pletora infinita, perché le pietre
rotolanti nonostante tutto continuano a smuovere le città) sostenendo che Mick
è tuttora esagitato come un ventenne, Keith incendiario come una folgore, Ron
Wood sempre più rilucente e Charles Watts… è Charles Watts, e quindi niente da
fare; lasciamo pure Mick esagitarsi con il suo sorprendente vitino da vespa e
la chioma fluente che cade morbida su un viso da cariatide, ma concediamo a Charles di abbandonarsi con la tranquillità
della persona pacata che è sempre stata ad una chioma candida.
Ovviamente c’è chi, diversamente da Martin, li accusa essere
dei Dorian Grey senza ritratto, di rifiutare la biologia, di essere
diventati nient’altro che caricature di sé stessi, poco più che pagliacci, con
qui jeans da giovincelli e quell’atteggiamento
sfrontato del tutto fuori luogo. Eppure fu proprio quello che
Pete Townshend gridò agli Stones
nell’89, dal palco della Rock’n Roll Hall of
Fame: “Per favore, non invecchiate con grazia: non vi si addice”.
Si potrebbe insinuare però che il leader degli Who era
di parte, e oltretutto ben conscio di esserlo; l’ultimo disco dello storico
complesso, “Endless wire” dopo 24 anni di
silenzio, risale al 2006. Attenzione però, non
mettete nel vostro I Pod la loro canzone-manifesto“My
generation”, potrebbe capitarvi di ascoltare il verso “I hope I die before I get old”.
Vabbè, su, quello non conta! Pure Mick Jagger diceva
che si sarebbe suicidato se avesse continuato a cantare Satisfaction a quarant’anni. Era il ’72, intanto Mick di
anni ne ha sessantaquattro e nessuna voglia di ritirarsi. Eh, si dicono
un sacco di sciocchezze quando uno è giovane!
E’ tempo di reunion. Qualche mese fa è toccato ai Led Zeppelin. Certo, era solo una reunion però insomma, com’erano
eleganti e discreti questi nonnetti in completo nero,
al massimo pantalone beige e maglietta bianca, colori sobri, a vederli si
sarebbero detti quasi degli avvocati se non fosse stato
per la criniera indiscutibilmente fluente di chi non sa nemmeno cos’è un
riporto: eterni riccioli biondi per Plant e chioma a giorni alterni bianca o
corvina per Page, perché lui, nonostante l’età avanzi, con quella faccia da
bambolotto che si ritrova sembra sempre un gentiluomo della chitarra.
Se veder invecchiare le rockstar è
già molto inquietante, pensare ad un punk anziano che continui a gridare “No
Future” crea addirittura sgomento. Incoerenza, si
potrebbe azzardare, ma nessuno pare ci abbia fatto
troppo caso a Londra l’8 novembre 2007, data dell’ultima reunion degli ormai
cinquantenni Sex Pistols. La nostalgia, che si sia vissuto il ’77 o meno, fa
sempre miracoli (e grandi incassi).
Altra storia per gli eredi più o meno riconosciuti del
punk-rock, schierati in controtendenza. Billie Joe
sorprende e affascina quando dice di voler diventare
vecchio, di non voler tornare ad avere vent’anni. Con
American Idiot il pur trentenne frontman dei Green Day ha capito che non gli andava più
di fare il ragazzaccio: " Mi sono sentito troppo vecchio per essere ancora
arrabbiato, non volevo essere il tipo arrabbiato invecchiato. E' sexy essere un
giovane arrabbiato, ma essere un vecchio acido bastardo è un
altra cosa". C’è da dire però che già nel lontano ’86 Keith
Richards la pensava in maniera più o meno simile:”
Penso che siamo in una posizione unica perché nessuno è riuscito ad arrivare
così lontano senza crepare oppure separarsi; noi siamo riusciti a crescere
bene. Quello che non si può fare è ritirarsi nel paese di Peter Pan e cercare di
compete con dei ventenni. Non avrebbe senso. Anch’io
ho avuto vent’anni e ho mandato a quel paese i vecchi
bastardi. E’ un fatto naturale, guai se i giovani non facessero
così.”
Giovani e vecchi. Ecco il punto
cruciale: i rocker devono provocare. I vecchi antropologicamente
non provocano, non devono farlo, tutti sono convinti che non possano nemmeno
farlo. La gioventù è sempre stata la stagione della ribellione, ma ribellarsi
ad oltranza, al di là di quello che viene accettato,
non è forse allora una ribellione ancora più grande?
Ancora Jagger: “Mi ricordo che una
volta davo molta importanza a quello che la gente pensava della mia età, ma chi
se ne frega? A volte non vogliono che siamo intelligenti, anche se cerchiamo di
esserlo.”
Insomma, ci dice la voce degli Stones, oltre tutte le stupidaggini tipo “la giovinezza è solo uno stato mentale”, perché voler a tutti i
costi imbavagliare chi ritiene di aver ancora molto da dire solo perché
cominciano ad uscirgli i peli bianchi dalle orecchie? E poi, per citare la
nostrana Patti Pravo (che pure di Mick è
stata intima): “se non si muore giovani e hai superato i cinquanta tanto
vale andare sino in fondo”
”Si, va bene Patti”,
verrebbe da dire “ma cavolo, te la immagini una rockstar che muore di
vecchiaia?”.