Nella guerra dei pezzenti solo il potere vince e sopravvive.
Nel villaggio di fango e lacrime, potrebbe essere palestinese o di qualunque altro posto dimenticato dalla legalità e da Dio, nella polvere e nella miseria, nell’arroganza del più forte, nella barbarie degli stupri quotidiani da pulizia etnica balcanica, tra spie e condanne sommarie, si svolge la storia tratta dalla Tragedia di Che Guevara dell’autore Mu’ien Bsiso.
Sulla scena un fiore bianco spaccato in quattro, quasi matrioska russa divisa in spicchi, bocciolo disunito senza solidarietà interna, igloo caldo, pedine di scacchi che si spostano e si muovono furiosi, ora roteando con gli interpreti crocifissi nel loro interno concavo, ora abitazioni e dimore umili.
Appeso ad un cappio penzola e ciondola il fantoccio del Comandante con il basco e la stella rossa, appeso ad un cavo come saccone da boxe, in una versione troppe volte vissuta ad ogni latitudine di altri Piazzale Loreto nazional popolari.
I sovratitoli aiutano nella comprensione, ma la musicalità delle parole scandisce le scene, le rende più vere, aspre, quasi che nella traduzione andasse perduto anche l’atmosfera, sciupando la veridicità delle immagini con la morbidezza del nostro italiano benestante.
Il capo della Polizia, in palandrana gialla e zeppe da cubista ai piedi, con le movenze dei personaggi delle pellicole di Almodovar ed una maschera che ne ricopre metà volto, come a celare l’anima nera del potere, umilia fisicamente, rapporti anali forzati e costretti con uomini e donne, e nella sua ambiguità dona pennellate di schifo e camaleontismo, passeggiando come in una sfilata pret à porter tra i subalterni, che non possono ribellarsi, e le subdole strategie per governare l’insanabile frattura tra le caste.
Le torture, le sevizie, il carcere, tra Abu Graib e Guantanamo, l’urlo “Sognare è un reato”, sono tutte facce del dramma di un popolo chiuso dentro il proprio territorio, colpevole di essere nato dalla parte sbagliata del muro.
Cinquanta minuti di recitazione naif coronata dopo i calorosi applausi finali dal discorso di commiato, propaganda e ribellione non violenta: “Siamo un popolo ed abbiamo diritto di vivere e la Resistenza fa parte di questo modo di vivere, abbiamo la nostra libertà, cultura; ognuno di voi può prendere parte a questa giustizia, non potete accettare la nostra condizione, circondati .
dalle mura
Un iracheno commosso sale sul palco e regalando un libro alla compagnia palestinese piange e li abbraccia.
Voto
7
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