re passaggi, tre soste itineranti per il
pubblico che non ha un suo spazio. Tutto intorno è il suo ambiente e può
scegliere l’angolazione propria, non giusta, ma
intimamente accettata per la visione complessiva, come attorno ad un falò
sacro, ad un totem, ad un’icona. In Slipping della Compagnia Furiosas,
presentato a Fabbrica
Europa 2005 i grilli rimbombano. Al centro
una gabbia circolare metallica per leoni ammaestrati circensi. Sul pavimento innumerevoli magliette bianche stropicciate e
calpestate.
I due, lei in abito bianco quasi da sposa, si
sfiorano, sfidano, danzano in silenzio morbidi,
leggeri, senza attrito né ruvidità, senza sostanza scivolano, camminano sulle
grate, si elevano, fanno evoluzioni pirotecniche da acrobati.
Sembra la gabbia delle scimmie con funi e corde ed il
rumore della foresta in sottofondo si fa sempre più pressante: rane,
sottobosco, grugniti della natura, della vita. Un muro di gomma dove rimbalzare e saltare.
Le corde dividono e sezionano lo spazio vivibile,
visibile, lo frantumano e frazionano, lo segmentano frizionandolo. Tutto si
tende dentro questa teca- bacheca aperta ad uso e consumo degli sguardi voyeristici dell’esterno. Chiusi e
sorretti da ganci da alpinisti in una Mission Impossible di
danza urbana. Sulla gabbia non hanno gravità, sono
scarafaggi e cavallette, Superman e ragni, aggrovigliandosi, cercandosi,
imbavagliandosi sotto una base di un moderno bolero.
Animali in gabbia corrono forsennati
in circolo, rotolandosi. Stremati. Comincia l’ordine: le funi vengono raccolte, le maglie ripiegate con estrema cura ed
arte, come massaia, casalinga perfetta o commessa di negozio. Dal caos alla
precisione e pulizia, ora dentro è tutto sgombro.
Si prendono per le scapole, per i
capezzoli, ricordando Un uomo chiamato cavallo”,
si tirano le pance, si aggrappano alle bocche, con i denti, flettendosi, ma non
c’è violenza o tortura, tutto è dolce e calibrato, denso e liscio.