Già. Sguardi.
Guardare da fuori. Una vetrina sul teatro veneto. Ed
il vetro è lucido, pulito, trasparente. Il teatro del Nord Est soffre la realtà
politica dell’intorno, la sente stretta ed oppressiva,
soffocante. Boccheggia, chiede aria, spazio. Quasi prova un senso di colpa, ci si
vuole giustificare dicendo che “noi no”, cercando una valvola di sfogo, un
condotto di salvezza, una via d’uscita. Mosche bianche.
Che qui il verde non è il colore della speranza. Già dal catalogo si capisce:
due occhi appena accennati, nascosti, titubanti ma anche sensuali e
conturbanti, che emergono in tralice, salgono in superficie da emicrania,
affermandosi su linee parallele da occhi storti che ricordano vagamente le Torri Gemelle. Crollo e ricostruzione. Colpiscono le parole del direttore artistico Andrea Porcheddu, che, nel suo sigaro, la zona e la situazione
la conosce a mena dito: “Confrontarci con la
dialettica continua tra una visione standardizzata, e ormai banalizzata, del
nordest imprenditoriale e “razzistello” e una
vivacissima vita teatrale”. Caldo e freddo. Ying e Yang. Bianco e nero. C’è l’uno e c’è anche l’altro aspetto. Convivono, male ma convivono. Colpisce l’essere itinerante di “Sguardi”: l’anno
prossimo è già stato deciso che si farà, e intanto non è poco una programmazione che vada al di là del presente e del contingente, e che andrà in scena a Venezia. Che la vetrina si sposti e faccia vedere il meglio, sopra e sotto il palco, che ha. Colpiscono gli ottimi, attrezzati ed efficaci spazi, cinque qui a Padova, Teatro Studio, Cinema Teatro MPX, Cinema Lux, Teatro delle Maddalene, Teatro Verdi, colpisce l’organizzazione svizzera e non era semplice con sette spettacoli al giorno per tre giorni (16, 17, 18 settembre) di full immersion, vera e propria maratona per gli occhi, overdose di colori, immagini, parole. La lungimiranza della direzione porta a conclusione di ogni serata le “Prove di drammaturgia”,
ennesima perla da sottolineare che porta sul palco fior di scrittori assodati e collaudati, il Premio Strega Tiziano Scarpa nella sua
versione de “L’infinito” dialogo tra un giovane adolescente contemporaneo ed un
Leopardi coetaneo traslato in un buco dimensionale e temporale, il Premio
Campiello Europa Vitaliano Trevisan in una rilettura moderna e spassosa de “La Bancarotta” da Goldoni, affiancati dalla giovanissima scrittrice teatrale Maria Conte, che sta
studiando con Latella: l’incontro tra il saggio e nuovo. Alla base di “Sguardi”
il PPTV, produttori professionisti teatrali veneti, nata nel 2002, che raccoglie sotto il proprio acronimo Tam di Padova, Tib di Belluno, Lemming di Rovigo, Pantakin di Venezia, Teatro Scientifico e Viva Opera Circus di Verona, Ensemble Vicenza. Sfoglio con una rapina occhiata il programma: quali compagnie conosco della scena veneta? Certo gli Anagoor,
qui con “Rivelazione” ed i Babilonia Teatri, Pop Star. Poi il vuoto. La
qualità è alta ma, evidentemente, non riesce ad uscire
dall’imbuto regionale. Si passa dalla commedia dell’arte di un “Ciranò”dei Carrara rivisitato in
chiave rom (scelta che ricorda il Tiezzi del suo ultimo “Romeo e Giulietta”), che chiaramente dice come la pensa sulla legge Sarkozy in Francia e sulla possibile esportazione leghista all’interno dei nostri confini, alla poesia pura di “E se fosse lieve” di Vasco Mirandola, delicato e raffinato scorcio della bellezza
che l’uomo può generare con gesti piccole e parole sottovoce, al circense,
ironico e clownesco del divertente e trasognante “Cirk” dei Pantakin, alle invenzioni sperimentali dell’“Amleto” del Lemming dove a mancare è proprio il principe di Danimarca,
nella regia illuminata, compressa e violenta di Massimo Munaro, lo storico del “Galileo” dei Tib, dove è da segnalare
la scena con le sue aperture a ventaglio, quasi branchie, che fanno da imene e passaggio
ad osmosi tra il palco e le quinte. Di carattere
prettamente sociale, qui il nervo è scoperto e lamenta sofferenze e dolori
quotidiani, sono “Annibale non l’ha mai fatto” del Tam, nel parallelismo tra la calata del condottiero cartaginese dalle Alpi in Italia
e di migranti, di cui uno è sulla scena, “Veneti Fair” di Marta Dalla Via
(segnatevi il nome, lo risentirete, si autodefinisce “la versione punk di Heidi” ed ha ragione), trasformista ed imitatrice dei luoghi comuni
di queste parti, stereotipi che affondano le proprie radici nella realtà: l’imprenditore
sfruttatore e qualunquista, la cocaina e la bella vita superficiale, il muro di
via Anelli, il razzismo diffuso e sdoganato nella normalità dei comportamenti,
l’ignoranza, la mancanza di cultura ma anche di curiosità, la difesa delle proprie tradizioni che diventa chiusura sterile e gretta, l’analfabetismo, l’alcolismo, il bigottismo. Tutto questo fa molto ridere. Amarissimo. Il premio morale e virtuale, del tutto personale, alla rassegna, va, a pari merito con
“Veneti”, a “North b-East” di Tbt
e Carichi Sospesi. Un attore ed un danzatore, che
recita come se fosse una coreografia, tra l’aulico ed il terreno, tra il metaforico ed il carnale, l’etereo ed il pratico, due vite a metà, infelici ed insoddisfatti, punti contrari e lontanissimi che non si ritrovano nella propria
pelle, nei gesti che sono abituati a fare, che non sanno cambiare direzione,
fino all’incontro, cercato, voluto, casuale, che mette ansia e paura. Ricorda
“Nella solitudine dei campi di cotone” di Koltes. Ecco l’autostrada e gli immigrati, “i capannoni ed i campi di mais”, l’evasione fiscale e la prostituzione, ecco i saldi, lo shopping furioso e compulsivo e gli zingari, gli spritz, la solitudine. Soprattutto
l’abbandono e la solitudine. Una terra in perenne contraddizione, che stride,
frigge, fa attrito. Dal letame nascono i fiori, diceva De Andrè. “Sguardi” ne è la prova lampante.
Voto
8
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