Bologna, ma è come non esserlo.
Siamo lontani. Qui, dalla strada non arrivano clacson veloci, non ci sono
schiamazzi. Il parco che ovatta, l’austera cornice in salsa vintage melò retrò
arancione come un cocktail di scambi ocra della facciata della villa in stile
neoclassico settecentesco che domina altera. Un’intera comunità sconosciuta si
raduna, piano, piano, prende posto mentre cala il sole. Metti una sera al Peraspera (www.perasperafestival.org), il festival diretto ed ideato dai tre tipi che compongono le Macellerie Pasolini, lo scorso anno conosciuti al Kilowatt di sansepolcro con lo struggente, delicato e violento, “Love car”. Tradotto è: attraverso le asperità, le difficoltà. E nella crisi si moltiplicano i gruppi, gli attori, le compagnie. Quest’anno
cinquanta diverse formazioni hanno allestito ed affollato le sere attorno alla magia della Villa
Aldrovandi Mazzacorati, nome che pare uscito da una delle signore abbienti dei salotti fantozziani. Di tutto, di più in un intercalare, in un incedere caracollante che spiazza, benvenuto finalmente, lo sguardo, lo sposta in altre direzioni, forse proprio per riveder le stelle che in alto florilegiano la
notte tra le colonne doriche altissime ed il teatrino (che potrebbe esser
definito “chicca” o “bomboniera” se non avessimo bandite le due parole) datato
1763, d’affreschi e marmi. Una scorpacciata fino a notte fonda. Ed è un peccato
che in giro per l’Italia non si abbia resoconto, non se ne parli, non si
commenti il fenomeno Peraspera. Sarebbe anche importante che la Villa potesse
essere concessa, come luogo di prova e spazio per la mostra pubblica, anche
d’inverno ai macellai pasoliniani. Nel buio s’incontra anche l’attore Oscar De
Summa, pizzetto ed acqua naturale, bolognese d’adozione decennale, che,
comunque, non sa darmi indicazioni riguardo all’ostello che mi accoglierà nella
notte e che, ora dopo ora, assume sempre più i contorni del noir, del
mitologico. Nel prato, prima di accedere alle scale del sagrato laico, c’è una
casetta in Canadà bianca e linda di legno, che pare uno spogliatoio da Versilia
anni ’50. E’ il luogo deputato per l’istallazione “Ridi!”, progetto di Elisa
Fontana che raccoglie le risate, un minuto a testa, per una performance-collage
collettiva. Un minuto è lungo da ridere, fino alle lacrime, quasi una tragedia.
Ecco le Tette Biscottate
(9 per il nome!), gruppo punk locale saffico, con urla, fuck off, ciuffi e
energia da vendere, poco pogo sotto le casse, anticipate da infiniti giri in
motocicletta (10Hp o Easy rider?) della cantante per la sua entrata sul palco,
passando dalla pista, molto scenografico e teatrale, ladygagagheggiante. Realtà
virtuale e second life si miscelano con i Pixel Rosso, due italo-inglese che, a
coppie di spettatori, con tanto di occhiali e cuffie, ci porta, direttamente e
quasi fisicamente, all’interno di una sconclusionata e allucinante come un
incubo compagnia di clown folli ed alcolizzati. Nel film riprodotto dai nuovi
occhi tecnologici si dipana una storia, a metà tra il naturistico Eden e lo
spietato underground, senza regole dove agli atti visti, essendone protagonisti, si associano mille piccoli particolari che rendono affascinante e “vivo” l’accadimento. Acqua, alcool spruzzato addosso, il vento, la busta nella mano insanguinata da non dover mai lasciare, tutto emerge dallo schermo toccando dal vero il pubblico, chi impaurito e terrorizzato: l’arte si fa concreta, la pittura diventa scultura, la bidimensionalità raggiunge la terza dimensione attraverso le costole dello spettatore in balia volontaria
ondeggiando ubriaco nel nuovo sé ricreato davanti ai suoi occhi instabili.
Nell’oscurità del teatrino, illuminato con piccole torce moderne, va in scena
il fachiristico “Balada corporal parte I”, scabroso, scandalistico, sicuramente splatter. Corpi nudi e tatuati che camminano prima sui vetri, poi prendono con i denti sei cuori di maiale (veri!), creando un neonato di carne grondante rosso avvolto in un lenzuolo, imbrattando e saturando l’aria di odore di sangue, fino al rituale della scrittura sul corpo, destinata a spettatori scelti, da scegliersi se con una piuma d’uccello o con un chiodo da cristiana crocifissione. Tutto molto lento e che con il teatro poco aveva a che spartire. Una concessione alla “maraviglia” con poco costrutto.
Voto
7
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