Gogmagog e Fosca
La macchina desiderante
Liberamente tratto da La macchina infernale di Jean Cocteau e ispirato al pensiero di Guy Debord, Gille Deleuze, Sofocle. Di e con: Cristina Abati, Carlo Salvador, Tommaso Taddei, Emiliano Terreni, ideazione e regia Caterina Poggesi, luci Marco Falai, foto di Gianni Giacomelli
In prima nazionale Il 21 e 22 aprile 2011 al Teatro Studio di Scandicci
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"Conosciamo il Desiderio come il movimento della volontà verso ciò che a noi manca. Nel vuoto che
ci separa dalle stelle (de-sidera), si svolgono le trame della nostra libertà e del nostro destino, si staglia il profilo della nostra singolarità. È in questo confine vuoto tra Noi e l’Altro che si dipana il filo del discorso della nostra finitezza, della nostra umanità. Ma in un mondo in cui tutto è pieno, non c’è spazio per incontrare l’Altro da Sé. Solo oggetti protesi del proprio corpo. Solo frame puntiformi velocizzati dall’horror vacui in cui ogni eccedenza da Sé è immediatamente reincorporata con un atto di consumo”.
Giovedì 21 aprile 2011 debutta alle 21al Teatro Studio di Scandicci in prima nazionale il nuovo spettacolo di Gogmagog in
collaborazione con Fosca, La macchina desiderante, liberamente tratto da La macchina infernale di Jean Cocteau e ispirato al
pensiero di Guy Debord, Gille Deleuze e Sofocle. Lo spettacolo che replica il 22 si avvale della regia di Caterina Poggesi ed è interpretato da Cristina Abati, Carlo Salvador, Tommaso Taddei, Emiliano
Terreni, che sono anche coautori del testo.
Il progetto nasce dalla ricerca creativa e attoriale di Gogmagog insieme all’ausilio di Fosca, nel contributo di concept e regia, per cercare di sintetizzare, in una forma contemporanea, drammaturgia visiva e testuale, restando nel tentativo dell’evocazione e dell’immaginario.
La macchina desiderante intende indagare sulla perdita indecifrabile di processi sociali e politici concernenti la percezione del reale e il destino dell’essere umano. Forze incontrollabili, fuori dall’autorialità del gesto, creano sistemi che, in autonomie feroci, controllano e determinano il vivere, come se avessero esistenza propria al di là della società dei soggetti.
L’azione, come una fiaba, dalla linearità della sua narrazione, si intoppa e comincia a contorcersi suicida e kamikazee senza possibilità di ritorno. Diventa la macchina
infernale. Un Tiresia fool cattivo e mediatico, a volte corpo, a volte immagine. Edipo
aitante e inconsapevole, idiosincratico maschile. Giocasta violacea, diva, una Isadora Duncan della tragicità contemporanea. Creonte
manifestazione dell’evidenza dei fatti, antipatico e puntuale ammonito. Apparizioni solitarie, come quadri isolati che poi intessono traiettorie di incontri improponibili e onirici. La traccia della visione e quella del suono percorrono la durata della pièce quasi fossero estranee e parallele tra loro. Un passo dopo l’altro. Voci della Sfinge, del popolo, del coro, eco di altre dimensioni. La scena essenziale e agile si articola attraverso la partitura della luce che delimita, distrugge e ricrea e va progressivamente a incontrare la visione cieca e soggettiva dell’Edipo. Solo i corpi, gli oggetti e i cromatismi costruiscono la visione, come una
sciarada da decifrare.
Voto
8
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