La ciociara
Regia Roberta Torre
Dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, drammaturgia Annibale Ruccello. Con Donatella Finocchiaro, Daniele Russo, Martina Galletta, Lorenzo Acquaviva, Dalia Frediani, Rocco Capraro, Rino Di Martino, Marcello Romolo, Liborio Natali. Costumi Mariano Tufano
Produzione: Teatro Bellini di Napoli. Visto al Teatro Niccolini di San Casciano, il 4 marzo 2011
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Troppo cinema a teatro non dona una buona resa, soprattutto in un lavoro di parola come “La
ciociara”. Un lavoro arduo riportare e trasportare per il palcoscenico il romanzo di Moravia o le, inevitabili, immagini della pellicola di Vittorio De Sica
del 1960 che portò Sofia Loren, nelle vesti di Cesira, a vincere Oscar e Cannes. Il confronto non può non scapparci tra Donatella Finocchiaro e la Loren. Il risultato
è scontato alla luce dei fatti. La Finocchiaro rimane avulsa dal gioco delle parti, leggermente assente e abulica. E questo si
nota soprattutto nelle scene-madri rivolte, accorata, verso il pubblico dove
sciorina parole ma senza crederci a pieno. Il dialogo-confronto con la figlia sconvolta dall’aver appena subito l’affronto dell’abuso sessuale è del tutto privo di tensione, di umanità, di vicinanza, di carne. Qui, a teatro, sembra che ad essere violentata sia soltanto la figlia e non anche la madre come nel romanzo. Dalla platea siamo continuamente bombardati, a doppio fuoco, in prima battuta e dietro la scena, da immagini proiettate su di un filtro davanti al proscenio, e su due pareti sul fondale (al di là degli evidenti e macroscopici problemi tecnici occorsi nel corso della serata con la schermata ad intermittenza di Windows che ci avvertiva e ricordava che Bill Gates aleggia sempre su di noi). La regia di Roberta Torre (i suoi punti più alti sono stati sul grande schermo “Tano da morire” e “Sud Side Stori”) si lascia andare ad un uso smodato, un abuso al ricorrere così spesso all’immagine, ben costruita, patinata e raffinata ma troppo manieristica di didascalie e sottolineature,
scene che si sovrappongono creando più caoticità che pathos, un’aggiunta che ha tolto invece che aumentare il coinvolgimento. La drammaticità neorealista de “La ciociara” si scioglie nei troppi, innumerevoli, infiniti cambi di scena da mal di mare sommati alle videoproiezioni da seguire in dissolvenza o sovrapposte. Senza resa, senza posa. L’occhio della platea incessantemente stimolato ad un avvicendarsi di figure di passaggio, di parole accennate, di quadri lanciati veloci senza un momento per la fermentazione e la digestione. Figure di contorno poco credibili, sottraendo un carico Daniele Russo-Michele, il figlio del contadino, un po’ Don Milani, e Rosetta, la figlia di Cesira stuprata dal manipolo di soldati marocchini, che, nella seconda parte, tira fuori le unghie. Le musiche, da Modugno a Patty Pravo, ci danno il senso di bianco e nero di un’epoca. Nostalgia canaglia.
Voto
5
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