E’ già tutto nel titolo. Con quella sgrammaticatura che trasforma l’atto al femminile. Così come vuole
l’uomo, pronto a lavarsene le mani. Saverio
La Ruina dopo l’acclamato “Dissonorata”,
riprende i panni di una donna. Una donna del Sud. Una donna calabrese. Ancora
il dialetto aspro delle sue parti, Castrovillari, provincia di Cosenza, ancora
violenze e sopraffazioni del mondo maschilista verso le donne. Ancora una volta
una sedia e la musica dal vivo di Gianfranco De Franco a sottolineare,
commuovere, ispirare, come un respiro, di sollievo, di nascita, o meglio, di
rinascita. Dopo la prima nazionale romana arriva sabato 28 novembre 2009 al
Teatro Manzoni di Calenzano il nuovo lavoro della compagnia Scena Verticale, conosciuta
a livello nazionale per l’importante e caloroso festival estivo “Primavera dei
Teatri” che da dieci anni si svolge agli inizi di giugno. E’ una storia a
doppio binario che ha per protagonista una ragazza, una bambina che viene data in sposa appena tredicenne ad un uomo molto più
grande di lei e per giunta malato, storpio e sciancato e che la mette incinta e
la fa partorire sette volte in pochi anni. E’ l’ultima gravidanza, vista e
subita come l’ennesimo affronto da patire, il climax
della piece. La donna si ribella e trova la forza per annientare, per
annullare, soffocare, uccidere il nuovo ed imminente parto. E’ una presa di
coscienza e consapevolezza, è una liberazione, è un ribadire
la propria esistenza nei confronti dell’uomo che vede le donne come un forno,
come un contenitore vuoto da riempire fino all’orlo, senza alcun rispetto. “Gli
aborti clandestini molto spesso portavano alla morte. Ho letto dei dati che
sembrano numeri da bollettino di guerra. Le donne morivano per infezioni, per i
rozzi strumenti non sterilizzati usati, per i ferri da calza da macellaio, per
il chinino, per il prezzemolo assunto in dosi massicce”. La regia è di Dario De
Luca che in questi mesi sta girando con la sua piece “U tingiutu. Un Aiace di
Calabria”. La Ruina sente pressante e urgente la situazione femminile: “Se non fosse
fortemente implicato l’uomo non avrei mai scritto né Dissonorata né
La Borto. Come uomo mi sento sulla sedia degli imputati. La domanda che mi ha mosso
è stata: “Ma gli uomini durante e dopo dov’erano?”. All’interno del testo è
molto presente lo sguardo ed il comportamento maschile”. E’ un giudizio
negativo su questi uomini assenti, egoisti, menefreghisti. E’ un plauso alla
legge 194 che di fatto ha diminuito gli aborti. “Alla
donna fino agli anni ’70 era precluso il piacere sessuale, erano soltanto uno
sfogatoio riproduttore. Gli uomini utilizzavano le donne per poi rifuggire le
loro responsabilità, omettere la loro parte nel gioco a due, dileguarsi,
sparire, lasciando la donna sola con il suo dramma. Perché di
trauma vero e proprio si tratta, che la donna si porta dietro tutta la vita”.
Ma sembra che le cose nel tempo non siano cambiate di molto:
“Alla fine del testo la protagonista, ora nonna, accompagna la nipote ai nostri
giorni ad abortire a Milano. La giovane deve abortire, e indebitarsi in
una clinica, perché in Calabria o mancano le strutture adeguate o ci sono
troppi medici obiettori di coscienza”. Durante le prime repliche al Teatro India a Roma una
ragazza si è sentita male in sala. Info: 055.8877213; www.teatrodelledonne.com.
Voto
8
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