Sacchi di Sabbia
Essedice
Dal fumetto alla scena, Tratto da “S.” di Gipi. Con Gabriele Carli, Annalisa Cercignano, Giulia Gallo, Gipi, Giovanni Guerrieri, Vincenzo Illiano, Giulia Solano. Maschere di Ferdinando Falossi
Visto a Volterra Teatro Il 27 luglio 2010
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Dopo l’intenso e ballato rapporto
padre-figlio di David, e Mario, Batignani, in “Assolutamente solo”, stavolta a scandagliare i pericolosi gangli tra genitore e generato ci
pensa il fumettista Gipi. Alla morte del padre
disegna il fumetto “Essedice”. S sta per Sergio.
Ed è come assistere ad un sogno, a quello che tutti noi vorremmo, alla possibilità, all’opportunità di dire le parole non dette,
concedere gli abbracci, le scuse, i saluti che, per orgoglio e pigrizia, ci siamo lasciati scappare. Ma i momenti sono unici e non ritornano. E’ la storia autobiografica di Gipi,
disegnatore anche per Repubblica, in una sorta di esorcizzazione della morte del padre, come una terapia del dolore in post scriptum. Un
sogno ma senza numeri cabalistici da giocare al lotto. Ed infatti, dal binomio tra il disegnatore ed i Sacchi di Sabbia (li lega l’ironia pisana),
ne esce un lavoro toccante, sentito, a tratti fortemente commoventi, in altri,
ad esempio l’inizio folgorante con i due alieni partenopei che vagano per la
galassia atterrando sui vari pianeti del sistema solare con la missione di spiegare
il senso della vita, esilaranti, divertenti. Gipi sta in prima battuta, parla di sé, si racconta (e non è facile), dietro di lui, e
dietro due paraventi-filtri trasparenti, si muovono i personaggi da lui disegnati che qui prendono vita, forma e parola. Hanno maschere che
assomigliano all’originale in carne ed ossa: le orecchie sporgenti, il naso adunco; dopotutto sono il piccolo Gipi, il padre e la madre. E, come nella Rosa purpurea
del Cairo di Woody Allen, i personaggi entrano in contatto con la carne e le ossa, il fumetto tocca il suo generatore che a sua volta ha preso e plagiato quelle storie dalla realtà. I piani di sovrappongono e si rincorrono. Un grandioso
omaggio al padre. Si salta tra varie dimensioni temporali in flashback cinematografici continui dove il Gipi bambino riesce a comunicare con il Gipi adulto, non personaggio ma persona. Ed è come se fosse il disegnatore a suggerire le
battute ai suoi schizzi di lapis, fino a diventare lui stesso cartone animato
su striscia fumettistica, il contrario dell’aspirazione di Pinocchio. Il padre
di Gipi è il padre di Amleto, gli si figura davanti, gli si para sul suo cammino, perdonandolo perché in qualche modo l’ha “vendicato”, nei confronti del figlio, attraverso la sua arte, i suoi bozzetti, i suoi segni leggeri su carta. Le incomprensioni di una
vita diventano piccole e futili e inutili e spicciole di fronte al segreto
della vita che è semplice come un gioco per bambini. Che molti adulti si scordano di essere stati. Colonna sonora: “Di padre in figlio”, Daniele Silvestri.
Voto
7 ½
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