Tra Tony Clifton Circus e Lella Costa, le tre milanesi Dionisi, attraverso
l’uso dell’eccessività, della spudoratezza, della debordanza,
riescono ad essere tanto pungenti ed argute tanto
disgustose e scomode. Scenette cabarettistiche, dirette da Renata Ciaravino, che prendono spunto dal “Corpo delle donne”
della Zanardo. Donne che parlano di donne in queste “Serate
bastarde”, ciniche, acide, crude, dirette presentato al festival Kilowatt 2010.
Le Dionisi non ci girano tanto intorno, prendono il
problema di petto. Sicuramente mettono in crisi il sistema di valori di
riferimento del macho latino. Il Girl power che ha
come baluardo da sconfiggere l’antivelinismo, la
deriva dell’autostima al femminile. Donne considerate soltanto per il “tette e culo”. Il combattere la forma, la
facciata, la bellezza canonica ricercata ad ogni costo, per forza, con forza.
Donne con le labbrone come canotti come la Gruber o la Parietti. Una nuova
rivolta femminista. L’età, la ruga come segno inaccettabile,
sintomo di quella malattia da combattere chiamata vita. Ma lo fanno con un’autoironia difficile da ritrovare
altrove. E sono eversive e violente, aggressive e divertentissime. E
commoventi. Una parodia continua dei nostri tempi malati e depressi, di falsi
miti e finti eroi, di canzoni partenopee dedicate all’amata, voluta e contesa
come fosse un oggetto, “tu m’appartieni” (un po’ come
il “ti pretendo” di raffiana memoria). Una
presentatrice, a mo’ della Ventura, intervista la velina- valletta con la pelle
bruciata che sta partecipando all’elezione di “Miss Ustione”. Di fatto Carmen Pelligrinelli, una delle tre sulla scena, ha realmente
subito un incidente dove è rimasta ustionata per oltre il quaranta per cento
del corpo. Qui la finzione del teatro viene messa in
secondo piano. Personaggio e persona hanno le stesse identiche fattezze. E, dal
pubblico, si subisce uno straniamento. L’attrice, con le gambe dalla pelle
visibilmente contratta, accartocciata e contorta, gioca con la propria
fisicità, con quello che per lei non è più un disagio, un handicap. Forse lo è
per gli altri. Forse è per le altre donne: quelle che si vedono sempre troppe
grasse, troppo basse, troppo magre. Quelle da minigonna, per far vedere le
gambe, quelle da tacco dodici così il fondoschiena sta più su sfidando la forza
di gravità. Quelle che assurgono alla chirurgia plastica, agli interventi
operatori, alle liposuzioni per assomigliare ad un
modello prettamente maschile e televisivo, canoni di una bellezza fittizia ed
inesistente, se non sulla carta, se non nella perfezione dei sogni e della
fantasia. La realtà, come le persone, sono piene di difetti, sono incerte,
instabili, sono brutte. E’ la loro bruttura che le rende uniche e quindi belle.
Un lavoro alla Michael Moore, con risate piene alla Beppe Grillo, punte acide alla maniera di
Sabina Guzzanti. Un “videocrazy” teatrale da succhiare come nella gag della
cannuccia bevendo quello che ci è stato proposto, e regalato in tanti
sacchetti, come il liquido seminale del Premier. Se ne cibano con gusto, se lo
litigano, se lo contendono, lo condividono in una piscina gonfiabile con pose
da copertina. La donna è carne da macello, urlano.
Colpa degli uomini che sono a fianco delle donne, colpa delle donne stesse che rispettano, e sono le prime a perpetrare, quegli stessi dettami, imposti a rischio dell’indifferenza, della non accettazione. Il problema delle novelle Bridget Jones,
imbacuccate ed imbatuffolate in pigiamoni depressi, abbuffandosi di Nutella e
derivati, è lo stereotipo da cartolina talmente irraggiungibile da creare ansia e frustrazione, lo stilema che credono di non poter infrangere. Il corpo della donna è comprato, non soltanto in strada la notte, è vilipeso e sfruttato,
violentato e distrutto, declassato e sottomesso, sottovalutato e deprezzato. La
bestemmia (come i Babilonia Teatro, gli Omini)
scagliata rabbiosa è l’affresco più drammatico dell’impotenza, dell’assuefazione, della rassegnazione.
Voto
8
|
 |
|