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  02/04/2025 - 03:24

 

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Teatro delle Albe
L’Avaro
Da Moliere. Ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari. Regia Marco Martinelli. Con Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Laura Radaelli, Alessandro Argnani, Alice Protto, Marco Martinelli, Luigi Dadina, Luca Fagioli, Michela Marangoni, Massimiliano Rassu, Loredana Antonelli, Laura Dondoli. Luci Francesco Catacchio, Enrico Isola, costumi Paola Giorgi, musiche originali Davide Sacco, foto di scena Claire Pasquier
Prima assoluta al Teatro Storchi di Modena dal 15 al 18 aprile 2010, al Fabbricone di Prato dal 9 al 12 dicembre 2010

 




                     di Tommaso Chimenti


L'avarizia si esplica, nella voce stirata e contraffatta come un filo di sospettosa cattiveria, come lo Smigol del Signore degli Anelli. “Il mio tessssoro”, sibilante, strisciante, viscido, conturbante, sinuoso, avvolgente. La scena c’è e si vede nella sua architettura ricordante altri vari Moliere. Tutto è apparecchiato quando ancora la piece non è partita. La scenografia viene smontata, lo spazio ripulito, diventando neutro, nero, un buco vuoto dove porre i nuovi avari, i nuovi servi, i nuovi sciacalli, senza tempo né datazione alcuna. L’Era glaciale. Tende spesse e furtive nascondono, inglobano mondi silenziosi che appariranno. “L’Avaro”- Ermanna Montanari è l’unica con il microfono, come fosse un concerto, la sua voce stridula riecheggia, rimbomba, diventa grave e grossa. E’ seria, serafica, ferma, immobile, una Sfinge di sale pieno d’astio, rancore e rabbia. La roba verghiana la fa gioire, la consuma, la farà morire. L’attacco al potere ed agli sciami che vi ruotano intorno è attuale ed è sotto l’occhio di tutti, ma, in quest’ottica, ci è piaciuto di più il coraggio di una nuova traduzione contemporanea come quella che fu di Mario Perrotta in un altro Moliere, “Il misantropo”. La realtà entra nel teatro: elettricisti, manovratori, costumisti, operai, artigiani montano e smontano, come fosse uno studio di prova, di posa in movimento: è la vita, signori, non è teatro. La storia è nota: due figli di un ricco signore spilorcio-usuraio (non è reato eliminarlo come sosteneva Dostoevsky in Delitto e castigo?) all’inverosimile elemosinano denaro dal padre ossessionato non solo dalle monete come Paperon de Paperoni ma anche dai furti e dallo sfarzo che combatte con la miseria e gli stenti. L’avaro (“non ti do il buongiorno, te lo presto”) è assoggettabile allo Shylock del Mercante shakespeariano, stesso sadismo di fondo, ma nessun voglia di voler apparire equo. Stesso malaffare, stessa antipatia, destino finale, però, opposto: qui si vira in commedia (anche con risate preregistrate in sottofondo tipo Zelig o soap), là in tragedia. Il padre vuole matrimoni combinati, i figli cercano l’amore. Il figlio che tenta di uccidere il padre ricorda Pietro Maso. Nel personaggio della Montanari (nuovamente Premio Ubu quest’anno) c’è un filo conduttore che lega Sterminio e Stranieri. Ma è la corte, colpevole, complice, supina, accondiscendente ed accomodante, che strusciandosi al potente lo incorona di nuovo potere, ricamando sopra armi che non ha, elevandolo a semidio dalle prodigiose e portentose qualità. Sono gli ultimi che fanno i primi quando la ribellione, morale, intellettuale, finanziaria, costa fatica.

Voto 7 ½ 

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