Nata
a Sacramento nel 1959 ma newyorchese d’adozione, Suzanne
Vega ha sfondato a metà degli anni Ottanta: conquistati prima i favori
della critica con il convincente album d’esordio del 1985 (Suzanne Vega),
due anni dopo la bella e raffinata cantautrice del Greenwich Village a sorpresa
mise a segno un bestseller internazionale con Solitude Standing.
Come altre colleghe esplose in quel periodo (Tracy Chapman o Toni Childs, tanto
per citare qualche nome) da allora, nonostante dischi di eccellente livello
qualitativo, Suzanne Vega non è mai più riuscita a cavalcare l’onda burrascosa
dei mercati discografici. Così, dopo Days of open hand (1990), il
più ermetico 99,9° F (1992) e Nine objects of desire,
sono arrivate anche le tredici tracce di Songs in red and gray:
nel frattempo la
Vega si è sposata, è diventata madre, ha scritto con buon esito una
raccolta di racconti in versi (ovvero Solitude Standing, pubblicata in
Italia da Minimum Fax) ed ha continuato a comporre canzoni di grande lirismo ed
impatto visivo perfettamente in linea, peraltro, con il resto della sua
produzione musicale. Queste canzoni in
rosso e grigio danno l’idea di rapidi schizzi che circoscrivono un
ambiente, raccontano un ricordo, descrivono una persona, quasi come se la Vega
volesse recuperarci attraverso i particolari il senso complessivo di
un’immagine, di una sensazione: il risultato sfiora la maniera a livello
tematico, mentre sul fronte puramente musicale l’artista americana sembra aver
voluto aggiungere nuove sonorità (per nuovi dettagli, nuove emozioni?) alla
consueta chitarra acustica, strumento intorno al quale si sviluppa il sound di
Suzanne Vega. Le tredici tracce di Songs
in red and gray presentano nel complesso un gran numero di ballate, in
genere insostenibilmente malinconiche – l’apripista Penitent, la
bozzettistica Soap and Water, l’essenziale e lirica titletrack,
l’intensa Priscilla, la struggente Harbor song e la nostalgica St.
Clare –, un pugno di rock ombrosi – Widow’s Walk , It
makes me wonder, If I were a weapon, dal contagioso riff di
basso, e la ritmata Solitaire –, un paio di idillici e ridenti pezzi tra
pop, country e rock (Last Year’s Trobles e Machine
Ballerina) ed infine un brano solarmente folk come il ridente (’ll
never be) Your Maggie May (in cui la voce della Vega ricorda lo stile
vocale di Sinead O’Connor).
Un bel disco che poco aggiunge alla carriera di Suzanne Vega ma
che conserva alta la qualità complessiva del suo repertorio.
Suzanne Vega, Songs in red and gray [A&M 2001]
Voto
7
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