Fa un po’ impressione e crea un grande senso d’attesa
ascoltare il nuovo disco di Sinead O’Connor,
cantante irlandese dal limpido talento, in possesso di una voce da brividi
e dotata di una spiccata personalità. Nata a Dublino nel 1966, Sinead ha
esordito a 22 anni con The lion and the cobra, ma il suo apice
creativo l’ha toccato senza dubbio tre anni dopo, quando incise I do not
want what I haven’t got, premiato a suo tempo con un Grammy, primo
album di una cantante irlandese a raggiungere il numero uno negli States: il
disco conteneva Nothing compares 2 U di Prince quando si chiamava
Prince, una gemma assoluta degli anni Novanta. Da
quel momento la O’Connor, già all’epoca nota per essersi rasata in segno di
protesta al patinato universo dello star system, più che per la musica
si è fatta notare per le numerose uscite femministe, anticlericali (stracciò in
diretta televisiva una foto del papa) ed antiamericane: un personaggio spesso
scomodo ma sempre in prima linea per le battaglie civili. Con i successivi Am
I not your girl (1992) e Universal mother (1994)
la O’Connor si è districata tra pop, folk e sprazzi di techno,
senza apprezzabili evoluzioni musicali. Per rifiorire sul versante artistico Sinead O’Connor ha dovuto
attraversare una discreta serie di rovesci personali, poi la scoperta della
dimensione spirituale (è diventata Suor Bernadette) le ha fatto ritrovare
tranquillità e fiducia nei propri mezzi. Il
risultato nel suo ultimo album Faith and courage si sente fin dal
titolo e si avverte dentro a partire dal primo ascolto: nei tredici brani
della tracklist si passa tra tematiche e stati d’animo contrastanti, ma
con un chiaro fil rouge mistico-emotivo di sottofondo a legare un album
che, per essere davvero unico, avrebbe avuto soltanto bisogno di una seconda Nothing
compares 2 U. La voce di Sinead O’Connor è incisiva secondo copione,
cristallina e roca al tempo stesso, insieme sacra e profana – ma, almeno per
stavolta, prevale la componente religiosa: in fondo trattasi di un disco di
fede e coraggio, che si chiude non a caso con Kirié eléison –. L’album prende avvio in sordina con i sussurri
e i disturbi di The healing room, poi si comincia a fare sul serio con
il ritmo più sincopato del singolo No man’s woman, che ci ridona una O’Connor vecchia maniera,
dolce ed incalzante ad un tempo. Da segnalare senza dubbio anche Daddy I’m
fine, la struggente Hold back
the night, l’intensa The state I’m in, The lamb’s book of life,
dalle tramature celtiche e quasi ipnotiche, ed infine If U ever, ballata
a pronta presa e molto suggestiva. Nel complesso Faith and courage
funziona e convince, è il disco di un’artista che pare aver ritrovato
stabilità e serenità, oltre ad aver scoperto nuovi impulsi musicali: d’altra
parte con gente del calibro di Brian Eno, Wyclef Jean e Dave Stewart dietro le
quinte sarebbe stato strano il contrario.
Sinead O'Connor, Faith and courage [Atlantic 2000]
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