"Un tempo eravamo
noi l'anomalia, il cortocircuito, mentre ora che a portare i capelli lunghi
sono i conservatori non ci rimane che tagliarli": una battuta
significativa, se a dirla è Don Henley,
artista di spicco negli anni Settanta come batterista e cantante degli Eagles,
quelli di Desperado, Hotel California e così via, la band
per definizione del southern soul aperto a deviazioni (sempre con molta
classe) col country ed il pop. A dire il vero, nonostante l'incredibile
successo in termini di dischi e biglietti venduti, pare che il botteghino non
sia mai stato il pensiero principale degli Eagles: come per il gruppo, così
anche per i due cantanti principali, Glenn Frey e appunto Henley, che hanno
inaugurato due carriere soliste dopo la scissione del gruppo nel 1982. Dopo la
clamorosa reunion del 1994 e l'incisione di Hell freezes over, Don
Henley ha pubblicato di recente Inside job, a ben
undici anni dal precedente The
end of innocence. Nel
frattempo Henley
si è sposato e trasferito con la nuova famiglia nel natío Texas in cerca di
serenità, si è molto impegnato con la sua fondazione in difesa dell'ambiente,
ha pubblicato un inedito di Thoreau (quello di Walden e la vita nei boschi):
curiosamente il tutto si ritrova ben narrato in Inside job, che spesso
ha i tempi dell'album privato ma non per questo evita puntate più aggressive
sul versante del ritmo. Il disco si apre con la vivace Nobody else in the
world but you, canzone felicemente sospesa a mezzo tra funky e soul bianco, dotata di un groove avvolgente degno del miglior Steve Winwood, alla cui incisione hanno
collaborato anche musicisti del calibro di Randy Newman e Stevie Wonder: un
brano che si richiama a distanza con Miss
ghost. Seguono due ballate di ottimo livello: degna di particolare menzione
è la suggestiva Taking you home, di una straordinaria semplicità,
ravvivata dal timbro particolarissimo di Henley,
scarno ma puntuale, quasi metallico per certi versi; a ruota arriva l'intensa For
my wedding, uno degli episodi più riusciti del disco - ed uno dei pochi cui
Henley non abbia collaborato in cabina di scrittura -: sul versante balladeer va citata obbligatoriamente anche Annabel, minimalista ed
insostenibile nel suo arrangiamento per piano (curato da Randy Newman). Suoni
più elaborati si ritrovano nelle successive Everything is different now e
Workin' it, dalla partitura quasi elettronica. Da segnalare, oltre
all'ombrosa title track, la tiratissima They're not here,
they're not coming, cadenzata da una ritmica contagiosa e Goodbye to a
river, in cui Henley ha riversato il suo impegno a favore della natura. Un
gran bel disco, insomma, che almeno in Europa non farà parlare molto di sé a
livello di classifica: d'altra parte dietro queste tredici canzoni per oltre
settanta minuti di musica si avverte fondamentalmente il desiderio di
scriverle, cantarle e suonarle. Tutto qui, senza nient'altro da dimostrare, e
in un mondo di showbiz dove tutti corrono dietro ai soldi fa
piacere sentire ogni tanto il parere di un signore di mezza età come Don Henley,
che sceglie di restare semplicemente se stesso, in barba alle nuove tendenze: "Ho
un rispetto assoluto della musica, perchè mi ha salvato la vita - ha dichiarato
il batterista degli Eagles prima di pubblicare Inside job
- evitandomi pure il divano dello psicanalista".
Don Henley, Inside job [Warner Bros 2000]
Voto
8
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