Caterina Sagna
Basso Ostinato
Con Alessandro Bernardeschi, Antonio Montanile e Mauro Paccagnella, drammaturgia di Roberto Fratini Serafide, luci di Philippe Gladieux, musiche a cura di Luca Berni
Prima nazionale 25-26 novembre 2006 a Cango, Cantieri Goldonetta, Firenze, poi in tournée
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Finalmente
ballerini che sanno fare gli attori, finalmente una piece di danza, o
teatro-danza se volete, con una trama vera e convincente. Fortemente esistenziale. Avevo visto “Sorelline” ed ero
rimasto estatico ora ritorno a “trovare” Caterina Sagna,
più famosa in Francia che da noi, che inanella un altro sciccoso testo con “Basso
ostinato”, al Cango
il 25 e 26 novembre scorso. Sembra di assistere ad un incontro informale tra
due amici di vecchia data davanti ad un tavolo e mille bottiglie, senza Bolle (Roberto) blu, di liquori quasi si
fosse dentro una pellicola di Pupi Avati, un post it uscito da Monicelli. Si parla,
si discorre, ci si racconta aneddoti e stralci di vita. Forse è il refuso di un
matrimonio o dell’ennesimo Natale andato alle ortiche ed agli annali penosi e
pensosi, finalmente conclusosi, in famiglia quando le
luci si sono spente, le mogli sono a letto, i bambini dormono e gli uomini
ritornano a “giocare” agli adulti. Uno davanti all’altro come
in una partita a scacchi senza scomodare il “Finale di partita” beckettiano, oppure sono camerieri che
hanno servito in un lussuoso hotel a cinque stelle ed ora si riposano prima di
rimettere a posto sedie e salone improvvisamente silenzioso dopo la confusione
e i bagordi di poche ore prima. Passano battute su Micha von
Hoecke, viene tirato in ballo anche il Maestro
Muti e la Cavani
in un continuo gioco dentro e fuori, mentre scorre “Il Lago dei Cigni” in
video, tra la realtà vera e vissuta dall’attore, in questo caso soltanto
persona, non in contrapposizione ma a braccetto con il personaggio che
interpreta. E qui parte il divertissement, il gioco di
prestigio, di scambio furioso e concentrico, tra la spontaneità del gesto e la
ripetitività dello stesso che spiazza in un andamento che segue linee sempre
più veloci e retroattive, scombussolando, rimescolando “carte da decifrare” fossatiane
date per scontate, rinverdendo un’acida e sottile ironia arguta difficile da
trovare sulla scena moderna. Intelligente è il testo impreziosito dalle
performance dei tre eccellenti attori (troppo riduttivo). Si ride, di gran
gusto, mentre lo spettacolo ci prende e ci porta via sempre più turbinoso,
scardina i movimenti precedenti, le parole appena dette, i significati espressi
rovesciando la situazione con perle di oralità e
articolazioni che si sommano esponenzialmente alimentandosi in una catena
multicolore di un’estetica disarcionante profonda, di una semplicità invadente,
di una scenograficità espressiva disarmante e
disarticolante. Come in una spirale si cade dentro il vortice dell’azione, la
stessa ripetitiva apnea ed allo stesso tempo mai uguale per uno spettacolo
asciutto ed al limite dello scheletrico, pur pregno e denso,
ma essenziale dove si nota un grosso lavoro per sottrazione più che per
aggiunte artificiose. Ne esce fuori un piccolo
capolavoro di sostanza. Ad una prima parte solo di parola, attorno a questa
tavola rotonda totemica e ritualistica nella triade cibo-alcool e confessioni,
fa seguito l’incursione della danza che non è rottura ma
conseguenza, è il continuum vitale e virale dell’oralità divenuta, finalmente,
gesto mellifluo e dispiegamento energetico. La scena del body contact, anche
violento ma sempre dolce e conturbante e ondulante, dove a ripetizione ed a
vicenda si buttano l’un l’altro giù dalle sedie per
prendere il posto del “nemico” e continuare a sentire la storia che già ognuno
di loro conosce a memoria, come nonno e nipote la sera prima di addormentarsi, per
poi riprendersi e salvarsi in un domino esasperato ed esagerato, è dissacrante
ed esilarante. Non da meno quando simbolicamente azzannano
l’ultima cena mangiandosi letteralmente il testo in questione perché non
esiste, perché è superfluo, perché è dannoso, perché è vita e nutrimento.
Fino al vomito finale, con rutti debordanti e sputi catastrofici,
scoregge scontrose e liquami sputatisi addosso, perché l’esistenza non è
stata tutta rosa e fiori. E’ già perchè proprio qui scopriamo a che cosa
servono i tappeti neri scioltisi e srotolati mentre i tre si riassettano per la
discesa infinita nell’Oltretomba, ma coloratissima e
né nera né lugubre, per l’ultimo giro di boa, l’ultimo applauso, l’ultima foto
di famiglia.
Voto
8
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