Le 5 rose di Jennifer
di Annibale Ruccello
Regia di Arturo Cirillo, con Arturo Cirillo e Monica Piseddu scene Massimo Bellando Randone costumi Gianluca Falaschi luci Pasquale Mari musiche Francesco De Melis assistente alla regia Roberto Capasso, Compagnia/Produzione: Nuovo Teatro Nuovo di Napoli in collaborazione con AMAT
Il 21 dicembre 2007 a Pistoia, Piccolo Teatro Mauro Bolognini, dal 16 al 20 gennaio 2008 a Cagliari, Teatro Alfieri, il 18 Aprile 2008 a Fano, Teatro La Fortuna, il 19 Aprile 2008 a Rubiera, La Corte Ospitale, dal 22 al 24 Aprile 2008 a Bologna, Teatro Duse
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La cultura omosessuale esce prepotente. Ma non siamo a Torre del Lago e nessun
eccesso da Drag Queen sussulta di ridanciana memoria. Nessuna
linguaccia fuori, nessun corpo discinto barbaramente volgare, nessun
atteggiamento da vamp. Si ribalta il concetto di fiesta con i tacchi a
spillo ed è solo l’accoppiata depressione- solitudine a tenere banco. Qui è il buio prima della parata, una sfilata che non arriva mai. Da
un lato il frivolo dei vestitini aderenti, dei luccichini,
della canzoni che infiammano gole e nostalgie, nel
kitsch debordante di fiori finti, di tessuti fuori moda e ciarpame in quantità,
dall’altra con l’illusione intrisa nel travestitismo in questi corpi dilaniati
da una diversa coscienza che non è l’assemblaggio del maschile e del femminile
ma una nuova identità che va a braccetto soltanto con i propri simili. Hanno
soltanto nomi, che poi sono nomi di battaglia,
inventati, scelti, epiteti e medaglie: non persone. Si sono uniformate a quello
che altri uomini volevano che fossero: macchine da accendere e dopo usate
spegnersi fino, forse, alla prossima volta. L’en travestì Arturo
Cirillo (a tratti ricorda Gennaro
Cannavacciuolo) , ancora una volta dopo “Le
intellettuali” da applausi, riesce a sviare ora la fase canterina, adesso
sciorina la parte noir a tinte fosche del testo di Ruccello.
Qui le telefonate (“Se telefonando”) non sono beckettiane,
cioè non è che vengano attese e non arrivano. Arrivano
eccome, il telefono trilla ma dall’altra parte è
sempre qualcun altro rispetto a colui con il quale si sarebbe voluto parlare. Ecco cosa manca: cuore, parola, comunicazione. Le persone
del quartiere (Napoli? Italia? il Pianeta?) ci sono ma
fanno solamente numero, chiuse dentro i loro forni crematori a forma di casa “e
una radio per sentire che la guerra è finita”. Le amiche di una vita sono Patty Pravo e Mina, Romina Power e Ornella Vanoni,
Milva. Voci, nulla più. Allo specchio
passa una figura metà uomo e metà donna, cammina sul filo
dell’ambiguità, folle e depressa, entusiasta che s’accende per un attimo e poi
cade nel turbine del vortice del nero. Non c’è domani nel deserto di relazioni
dove l’unica religione è “Cronaca Vera” e la Bibbia è l’oroscopo e la voglia di una vita
“normale” che di normale non ha più nessun contorno così come la fotografia sul
comodino senza nessun volto incorniciato. Il vuoto avanza fino al colpo di
pistola. Il virus Kurt Cobain, il batterio Luigi Tenco
è il vero serial killer.
Voto
7 ½
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