«Incurvato dal vento
che cresceva e forse avrebbe diradato la nebbia in quella mattina del 16
dicembre 1811, Hartog Alexander per la prima e l'ultima volta nella sua vita
cercò di levarsi più in alto della sua pipa e dei suoi cetrioli, provò a
leggere il futuro della sua stirpe, delle generazioni che lo avrebbero seguito
e che lui, come Dio, stava per chiamare per nome».
Hartog è
un ebreo di Rotterdam, piccolo di statura, di professione venditore di
cetrioli: un editto napoleonico esige dagli ebrei olandesi, come lui, di
scegliere un nome per la propria famiglia. Una responsabilità che lo costringe
a pensare in prospettiva e ad abbracciare per un attimo, soltanto un attimo, il
destino della sua stirpe: e la sua scelta cade su Van Straten, il nome
dell'autore del romanzo (inizialmente
Straaten, con due “a”), dal villaggio da cui Hartog proveniva, equivalente in
olandese a 'strade',
parola che pare precorrere il destino itinerante della sua famiglia nel mondo.
Ed infatti di qui in avanti assisteremo ad un continuo passaggio tra presente e
passato, e conosceremo in questo viaggio i volti di alcuni dei protagonisti di
una saga familiare che deve il suo nome alla scelta illuminata di un venditore
di cetrioli di Rotterdam. Anche per tale motivo la soglia esterna de Il
mio nome a memoria è costituita dall'albero genealogico della famiglia
di Giorgio Van Straten,
dal capostite Hartog Alexander fino ai giorni nostri: lo scrittore fiorentino
ha percorso a ritroso il viaggio del suo nome ricostruendo i personaggi di
famiglia, talora attingendo a documenti o a fotografie stinte dal tempo, altre
volte ricorrendo alla sua immaginazione, ma in modo calcolato, sempre con
l'atteggiamento di un restauratore letterario, non di quadri ma di biografie. Van Straten sceglie di
raccontarci una storia, un particolare, una digressione, se la storia è degna
di essere conosciuta, o se c’è materia per costruirla, altrimenti, è lui stesso a
dircelo, è meglio stendervi sopra una mano uniforme di intonaco bianco. Questo romanzo
prende avvio da Rotterdam
e procede per sbalzi preordinati da una logica interna alla memoria
dell'autore, che sta appunto ricostruendo un mosaico di vite e deve scegliere
di volta in volta quale tessera raccontare al lettore. E' un percorso che
intreccia di continuo i nodi del passato a quelli del presente: tra San
Francisco e un viaggio in nave dalla Lettonia a Londra, tra Ginevra e Napoli,
tra San Paolo e Rouen, con il costante collante di Firenze e dell'autore a coordinare personaggi e
storie con un nome in comune. Destini e strade incrociate da rapportare sempre
a se stesso, l'involontario punto d'arrivo della catena di quel nome solo per
un attimo abbracciata da quell'ordinario capostite, quasi due secoli prima.Giorgio Van Straten, Il
mio nome a memoria, Milano, Mondadori,
2000; pp. 299
Voto
7+
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