“Ambizioni
patrimoniali in una democrazia mediatica”: così recita il sottotitolo del pamphlet
dedicato alla figura di Silvio Berlusconi dal professore inglese Paul Ginsborg,
classe 1945, già docente presso il prestigioso ateneo di Cambridge e dal 1992
ordinario della cattedra di Storia dell'Europa contemporanea presso
l'Università di Firenze, autore di riferimento della Storia d’Italia
dell’Einaudi, tra i fondatori del
"Laboratorio per la democrazia" e tra i principali promotori, con il
collega Francesco “Pancho” Pardi, dei girotondi
di protesta contro il governo di centro-destra. Con una simile curriculum
d’impegno politico-civile alle spalle dell’esimio saggista, la pubblicazione
del libello Berlusconi da parte dello studioso britannico ha finito per
destare scalpore secondo le attese. L’assunto principale dell’analisi di
Ginsborg è la logica preoccupazione che l’incredibile accentramento di potere
politico, economico e soprattutto mediatico nelle mani dell’attuale Presidente del Consiglio possa
compromettere in modo irrimediabile il quadro generale della democrazia
italiana. Nonostante il punto di partenza sia quasi scontato nella sua
evidenza, risulta apparentemente incomprensibile come la maggioranza degli
elettori italiani non sia riuscita ad individuare (o forse non abbia voluto
individuare) un pericolo di così limpida portata, tanto ampia che
paradossalmente è anche in grado di ‘autorizzare’ i giudizi eversivi verso la
propria figura: non a caso tramite la propria famiglia il Cavaliere controlla anche
l’Einaudi, editore storico di intellettuali di sinistra, da Calvino fino allo stesso
Ginsborg. Un dettaglio sibillino che lo stesso storico fa notare, restando
tuttavia scettico se interpretarlo come reale salvaguardia della libertà di
espressione o meno: non a torto, peraltro, se anche durante il ventennio
fascista autori dichiaratamente contrari al regime, quali Eugenio Montale e
Alberto Moravia, poterono pubblicare i loro scritti – Mussolini sapeva
benissimo che solo una piccola percentuale della popolazione le avrebbe lette,
come forse accadrà al saggio di Ginsborg –. Tentando di dare una spiegazione a
siffatto stato di cose in Berlusconi
lo storico inglese cerca d’inquadrare il personaggio al centro della sua
riflessione in un fenomeno di portata internazionale, ovvero nello sforzo
generalizzato dei pezzi da novanta del mondo della finanza e delle
telecomunicazioni di impadronirsi direttamente del potere politico o almeno
influenzarne i detentori in modo sostanziale, conquistando così la sfera
pubblica democratica sfruttando le immani risorse economiche a propria
disposizione ed aggiustando ad arte il tiro del fuoco mediatico accentrato
nelle loro mani. A giudizio di Ginsborg il
naturale punto d’appprodo di simile processo è la trasformazione in senso
mediatico della stessa democrazia, un quadro estremamente rischioso a cui sarà
necessario trovare una soluzione in tempi brevi, un’esigenza che lo storico
inglese rileva sempre più urgente e pressante dal momento che l’Italia, unica
tra le democrazie occidentali, sarebbe già retrocessa in serie B, non essendo
più una democrazia liberale ma soltanto una democrazia elettorale. Difatti,
mentre quest’ultima presuppone solo un criterio di minima – ovvero lo
svolgimento di libere elezioni –, quella liberale “prevede criteri più severi
di appartenenza. [...]. Una democrazia può essere considerata liberale solo se
vi risultano adeguatamente salvaguardate la libertà di fede, di espressione, di
organizzazione, di protesta e di assemblea. In secondo luogo devono essere
garantiti a tutti i cattadini parità di trattamento di fronte alla legge e
certezza del diritto. Terzo, la magistratura deve essere indipendente e
neutrale, non subordinata all’esecutivo né ad alcuna parte politica”.
Condizioni che, stando allo storico inglese, in Italia non sembrano più del
tutto garantite dal governo Berlusconi.
Tuttavia, se così non fosse, con humour tutto britannico Ginsborg
invita il lettore a stare in guardia ed a non sottovalutare gli uomini politici
di piccola statura ma con grandi ambizioni: “La storia, in ogni caso, ci ha
insegnato a diffidare dei piccoli uomini con grandi appetiti”. Napoleone, ma
non solo, docet...
Paul Ginsborg, Berlusconi, Torino, Einaudi, 2003; pp. 91
Voto
7/8
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