Il viaggio di Felicia
False verità
Dall’omonimo
romanzo di Rupert Holmes l’ombroso cineasta canadese d’origine armena Atom
Egoyan – già autore di ardue traslazioni letterarie quali Il dolce domani e Il viaggio di Felicia
– ha tratto un atipico giallo letterario che sa intrigare fino all’ultimo
fotogramma rivelatore, nonostante una certa compiaciuta complessità temporale.
Già, perché la storia, non a caso, vive di continui flashbacks, spesso
parziali perché ‘raccontati’ attraverso il filtro della scrittura che, come
madre letteratura insegna, solitamente ama avvincere attraverso ricostruzioni a
tavolino della realtà, false verità, insomma. Protagonista di raccordo del plot
è la giovane ed avvenente giornalista Karen O’Connor, ex bimba miracolata dalla
poliomielite grazie all’aiuto ricevuto in seguito ad uno storico Telethon
presentato anni prima dalla premiata coppia d’intrattenitori televisivi
composta dall’impertinente Lenny Morris e dal flemmatico Vince Collins.
Siffatto sodalizio s’infranse subito dopo il celeberrimo spettacolo, in seguito
alla morte misteriosa di una giovane e bella fan del duo, l’aspirante giornalista Maureen, che aveva passato una
notte di sesso e trasgressione con Lenny e Vince, subito prosciolti da ogni
accusa. La bella Karen è per certi versi un doppio adulto della giovane
vittima, essendo una giornalista che è riuscita a strappare un grosso contratto
ad un editore per aiutare Vince Collins a scrivere la propria autobiografia,
compreso la malaugurata notte di cui sopra. Mentre la protagonista fa ricerche
per individuare in quale direzione possa annidarsi la verità, in aereo conosce
casualmente Lenny
Morris, restandone intrigata ed inquietata al tempo stesso. Le perversioni
erotiche del disciolto duo non mancheranno di coinvolgerla sempre più
all’interno di ciò che sembrerebbe soltanto un classico caso di depravazione da
successo di massa, non fosse per quella enigmatica notte che tutti vorrebbero
dimenticare o, forse, semplicemente possono ricordare soltanto da una limitata
prospettiva. False verità prova a
raccontarci questa storia ambigua in cui la verità pare inafferrabile e tutti
sembrano potenzialmente colpevoli, tutti accettano l’immoralità come un banale
contagio ambientale da showbiz. E’ un percorso all’insegna del doppio,
in cui ci si trova continuamente davanti ad un bivio, dal punto di vista etico,
temporale, narrativo, mentale, cromatico (i colori caramellosi dei Cinquanta a
confronto con quelli acidi dei Settanta). Egoyan centellina la suspense in pratica dall’inizio alla
fine, offrendoci gradualmente piccoli frammenti di verità che non ci consentono
di abbracciare il quadro complessivo né, sostanzialmente, di congetturare
ipotesi plausibili. Almeno fino all’ultima sequenza rivelatrice in cui, dopo
tante verità false e fuorvianti, perfidamente ci propinerà l’unica verità vera,
il più classico cliché del genere
giallo, strizzando sornionamente l’occhio agli spettatori che si è divertito a
confondere con efficacia dalla prima inquadratura.
False verità - Where the truth lies, regia di Atom Egoyan, con Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman, Rachel Blanchard; drammatico-giallo; Can./Gran Bret./U.S.A.; 2005; C.; dur. 1h e 47’
Voto
7½
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