Il plot di Riprendimi è un curioso esempio di cinema nel cinema: una troupe ridotta all’osso, un cameraman e un fonico, decide di girare un documentario-verità sulla difficile situazione di una coppia di lavoratori precari del mondo dello spettacolo, l’attore Giovanni e la montatrice Lucia. Un classico esempio di cinema indipendente che, a pochi giorni dall’inizio delle riprese, diventa un’altra cosa in quanto Giovanni s’innamora di una ragazza e decide di lasciare Lucia e il figlio. I due operatori, pure oppressi dalle difficoltà economiche, decidono di dividersi per continuare a filmare le vicende della coppia, con l’intento di dimostrare come la crisi professionale che attraversa la generazione dei trentenni di oggi finisca per influenzare in modo pesante anche il loro ambito familiare e privato. Da questo punto il titolo del film di Anna Negri, già autrice di In principio erano le mutande, acquista un’evidente valenza allusiva in quanto la coppia protagonista si sfalda per l’esclusiva volontà di Giovanni – che giustifica l’abbandono della sua famiglia in quanto la sua creatività artistica ne viene limitata –, mentre l’obiettivo primario di Lucia è di essere appunto ‘ripresa’ dall’ex compagno, il cui abbandono non riesce inizialmente a razionalizzare: il tutto mentre i due documentaristi ne riprendono le melodrammatiche vicende con sempre maggior empatia, soprattutto da parte di chi segue passo passo il momento negativo di Lucia. Questo esperimento di metacinema applicato alla simbiosi tra il precariato e la fine di un amore funziona a corrente alternata, nonostante l’impegno e la bravura di Alba Caterina Rohrwacher e Marco Foschi, i due protagonisti nella cui storia, obiettivamente, è arduo identificarsi. Si può comunque provare…

Voto 6/7