Liberamente
ispirato all’omonimo
romanzo postumo di Goffredo Parise, L’odore del sangue di Mario
Martone è la rigorosa e penetrante analisi di un rapporto sentimentale ormai
stratificato e sedimentato negli anni da due semplici regole: sincerità
assoluta e nessuna esclusiva. Carlo è un
maturo giornalista che sta scrivendo un libro e si alterna tra Roma ed un
paesino sperduto nei boschi dove vive con la giovane amante Lù, spontanea,
dinamica e vitale. Silvia,
la moglie di Carlo, vive invece in un elegante appartamento a Roma, spesso da
sola, ed è perfettamente a conoscenza del rapporto extraconiugale del marito,
con cui si sente continuamente per telefono. Ad infrangere l’atipico ménage
arriva l’indecifrabile figura di un giovane muscoloso, ignorante e prepotente
che inizia a corteggiare pressantemente Silvia, che senza un motivo apparente
prima intreccia una relazione con un ragazzo che potrebbe essere il figlio che
non ha mai avuto (e che peraltro non condivide con lei alcuna affinità
caratteriale) e poi, pur consapevole che si tratti di un rapporto senza senso
né futuro, non riesce a spezzarlo, nonostante si accorga che siffatto gioco
erotico stia ormai degenerando in una spirale di violenza e degradazione. Non
riesce ad aiutarla neppure Carlo,
la cui attenzione nei confronti di Silvia viene
ridestata da un sentimento in bilico tra la curiosità morbosa e l’ossessione tout
court: il protagonista insegue la moglie nei suoi spostamenti, cerca di
condividere con lei la torbida relazione che sta vivendo, senza riuscirci si
sforza di aiutarla a spezzare l’inesorabile intreccio d’amore e morte in cui si
è infilata. La tragica fine è annunciata e prevedibile, ma, quando arriva,
risulta acuminata come la lama di un rasoio. L’odore del sangue è un film giocato principalmente
sugli scambi verbali tra Silvia e Carlo, di cui la giovane amante Lù
costituisce una sorta di controcanto vitalistico (e di specchio umano), mentre
al contrario del quarto personaggio, il giovane amante violento e muscoloso di
Silvia, nulla ci è dato vedere, per quanto in effetti la ripetizione ad
libitum dei suoi rudi tratti caratteriali finisca per delineare un modello
di coatto ideale per esaltare la vocazione all’autolesionismo della
protagonista. Costantemente deframmentata, punteggiata da riferimenti continui
al tema del doppio, talvolta sospesa tra incubo e realtà, la storia alla base
del film di Martone
spesso finisce per risultare disturbante come può esserlo il tentativo di
razionalizzare un impulso primordiale: e proprio in questo è riposto il pregio
maggiore ed allo stesso tempo il limite di un film comunque da vedere per il suo lancinante rigore.
L'odore del sangue, regia di Mario Martone, con Michele Placido, Fanny Ardant, Giovanna Giuliani; drammatico; Ita./Fran.; 2003; C.; dur. 1h e 38'
Voto
7/8
|
 |
|