Si chiama Prot, soltanto Prot, e sostiene di essere un alieno proveniente da K-PAX, un pianeta distante un migliaio di anni luce dalla Terra, nei pressi della costellazione della Lira. Segni particolari? Nessuno, a parte gli immancabili occhiali da sole (la Terra è molto luminosa, mentre K-PAX è avvolto in un perpetuo crepuscolo) ed il trascurabile dettaglio che il sedicente alieno è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico di Manhattan. Che si tratti di un alieno o di un alienato dovrà cercare di stabilirlo il Dr. Mark Powell, lo psichiatra alle cui cure Prot è stato affidato. K-PAX procede con il serrato ciclo di incontri tra i due protagonisti, che contrappone il buon senso di uno stimato professionista alle affermazioni, spesso veridiche e sensate, di quello che sembra il più classico dei casi clinici. Esternamente infatti Prot pare un normalissimo essere umano, per quanto preferisca mangiare le banane con tutta la buccia: sostiene però di essere in grado di viaggiare a velocità superiore a quella della luce, di essere arrivato sul nostro pianeta per svolgere un'inchiesta e di esserci stato altre volte in passato, dimostra conoscenze in grado di mettere in crisi i migliori astrofisici ed anticipa al suo interlocutore che la data della sua partenza è già da tempo fissata al prossimo 27 luglio ad un orario ben preciso ("Se vuole scusarmi, dottore, c'è un raggio di luce che mi aspetta"). A parte i numerosi dettagli sul pianeta d'origine, Prot riesce impalpabilmente a risolvere, grazie ai segreti di una scienza aliena e molto più sviluppata della nostra (la Terra è infatti un pianeta di classe BA-3, al primo stadio d'evoluzione, dall'incerto futuro), i problemi mentali dei suoi compagni di reparto. Semplice suggestione? Un esempio di idiot savant? La ragionevolezza non induce a ritenere possibile che si tratti veramente di un alieno. Grazie all'ipnosi il Dr. Powell riuscirà a scoprire l'evento traumatico che ha costretto Prot ad inventarsi un'identità irreale ma, nonostante il realistico finale consolatorio, il dubbio sull'uomo venuto da K-PAX è destinato a restar tale. Iain Softley, già regista di Hackers e Le ali dell'amore, ha traslato sul grande schermo un romanzo di Gene Brewer, affidandosi per la resa estetica del plot all'ottima fotografia di John Mathison che, giocando sugli effetti della luce, è riuscito a creare un'atmosfera di mistero che permea tutto il film, incentrato chiaramente sul confronto intellettuale e psicologico tra i due protagonisti, interpretati dal solito immenso Kevin Spacey e da un Jeff Bridges in parte. Una storia atipica quanto originale, felicemente sospesa tra commedia e dramma.
K-PAX, regia di Iain Softley, con Kevin Spacey, Jeff Bridges, Mary McCormack, Alfre Woodard; drammatico; Usa; 2001; C.; dur. 1h e 50'
Voto
7―