Un piccolo film di formazione per il convincente esordio alla regia del grande Denzel Washington, con una storia semplice e dolorosa come può esserlo una storia vera. Antwone Fisher è un giovane marine di colore con ricorrenti problemi caratteriali che spesso sfociano in incontrollate esplosioni di aggressività: all'ennesimo episodio della serie, il ragazzo viene degradato da sottotenente a marinaio e, contemporanemente, affidato al Dr. Jerome Davenport, ufficiale di colore, per una sessione psicanalitica di tre sedute. Il terapista con pazienza scalza il muro di mutismo del ragazzo, che infine si scioglie come un fiume in piena, ritracciando i dolorosi confini della sua infanzia difficile di orfano nato in prigione, affidato alla famiglia di un predicatore e (soprattutto) alla perfidia involontaria della corpulenta consorte del religioso. Se denunciare il problema equivale ad iniziare a risolverlo, tre sole sedute sono poche per rimuovere un'intera infanzia perduta ed un'adolescenza vissuta per strada, poi risolta con via d'uscita della carriera militare. Il buon dottore saprà però andare oltre il rigido protocollo per aiutare il giovane protagonista a ritrovare la sua famiglia e scendere a patti col passato: e la vita di Antwone Fisher diventerà una vita vera, mentre Davenport si ritroverà rinfrancato come psichiatra e finalmente in pace con la sua paternità irrisolta e seppellita, similmente al suo giovane paziente, dietro un muro di apatica indifferenza. Una bella storia di amicizia virile, per certi versi la storia di un figlio in cerca di un padre e viceversa, soprattutto la storia di un ragazzo in cerca di se stesso, raccontata senza eccessi di retorica né facili spettacolarismi. Antwone Fisher dimostra pacatamente che la terapia psicanalitica è un lungo e difficile cammino che il terapista ed il paziente percorrono insieme, talvolta con reciproco successo, come in questo caso.

Voto 7+