A 10 anni dalla morte, Parma celebra l’opera di Mario SchifanoHoms, 1934- Roma, 1998),
attraverso una breve
retrospettiva allestita a Palazzo Pigorini, dal 3 maggio al 22 giugno. Ànaimìa,
questo il cuore e il significato della mostra: paesaggi
anemici, quelli di Schifano,
una parte di America metallica e innaturale, fotografata da ogni prospettiva
possibile, quasi a volerne frugare ogni angolo alla ricerca di un senso o di
un’umanità, ricerca frenetica di contatto e insieme analisi chirurgica di una
realtà cui non si appartiene, omogeneità
vissuta come ammasso di corpi estranei, trapianto d’organi malriuscito, rigetto
inevitabile. I 200 scatti americani, prodotti in occasione di un film mai
realizzato sulla bomba A, appaiono come un’enorme distesa grigio ferro; i soggetti,
dalle basi NASA al centro atomico di Los Alamos, sono simili tra loro: battiti
di palpebre di un occhio stupito eppure disincantato, interessato ma quasi
disgustato dalla desolante uniformità del reale, in cui unico accenno di vita
sono gli occhi di Nancy Ruspoli (co-autrice,
insieme a Tonino
Guerra, del soggetto cinematografico mai
venuto alla luce). Altro grigio, quello delle 100 polaroid raccolte in “Serie
nudi” e “Serie ritratto”, attraverso cui l’artista “scopre” l’uomo, giocando
con lo zoom, sostituendo l’obiettivo all’occhio. Ed è in virtù di questa
sostituzione che si muove tutto il discorso figurativo di Schifano: le enormi
tele gocciolanti di colori fluo, gli schermi televisivi stilizzati e i grandi
spazi colorati, vuoti come interrogativi insolubili, sono i simboli di un
distacco siderale dalla contingenza, dell’impossibilità di osservare il mondo
senza filtrarlo, della necessità di porre uno schermo tra se stesso e il resto.
Esponente della pop art italiana, l’erede di Andy Warhol ci
spiega, tramite gocce di colore e lamine metalliche, che dal confronto con l’uomo
delle factories, una sola può essere la lezione: a
parità di sperimentazione e ricerca dello stupore, i due sono l’uno l’opposto
dell’altro. Se per Warhol lo schermo è strumento di contatto e di focalizzazione
estrema dell’oggetto osservato, espressione
di voyeurismo ed esibizionismo portati al massimo grado e focus
dissacrante, per Schifano lo stesso
schermo ha come fine essenziale il distacco, la lontananza dal circostante,
l’evidenza del dissenso, la descrizione annebbiata di un mondo negativo ma
sostanzialmente innocuo, in cui l’unica speranza di salvezza è il disarmo di
sé, l’allontanamento per cui non esiste perdita.
(per info:: 0521/218338. La mostra resterà aperta dalle 10.00
alle 19.00 tutti i giorni escluso il lunedì.)
Voto
8
|
 |
|