A pochi mesi dalla sua mostra “Portraits” (Ritratti), il pistoiese Daniele Capecchi riprende il
concetto del passaggio dalla fotografia alla tela. Lì il processo si era
sviluppato sul rapporto tra immagine, o il suo fermo, istantanea di un momento
pruriginoso (i “modelli” erano stati carpiti da film a luci rosse in pose
erotico- sessuali) e trasposizione
pittorica che se da una parte ne esaltava
l’attimo, il momento e la veridicità dell’azione, dall’altra la puliva, la
“ripuliva” da messaggi, da routine basiche, dalla dietrologia spicciola che sta
alla base, dietro o davanti (se vogliamo cercare facili doppi sensi), ad una
pellicola hard. Qui, inaugurazione allo “Spazio dell’Ospizio” di Alice e Mauro a Pistoia, l’idea di fondo è più o meno la
stessa. Dall’immagine morta ritrarne delle tele “vive”. Ed allora celebri, e
meno, pose plastiche o statuarie di mostri della Letteratura, ovviamente con la
maiuscola, sembrano rivivere nelle pennellate, rigorosamente in bianco e nero,
quasi fosse uno scatto d’epoca, datato nella sua
immediatezza, dense e spaziose di Capecchi. La mostra è stata organizzata in
occasione della manifestazione “Letteraria” che
ha compreso anche la premiazione dei racconti vincitori dei Co’libri:
Antonio La Sala (“Alfa e Omega”) e Stephanie Leblanc
(“Biblioteca”). Stando al centro della sala- libreria ci si trova accerchiati
da occhi indagatori, che scavano, che controllano, chi languidi, chi
apprensivi, chi ancora rassegnati o rabbuiati. Un velo, forse la morte, per la
maggior parte degli scrittori ritratti, o soltanto l’eternità
alla quale ognuno di loro sarà assunto ed assorto, sta tra lo spettatore
e lo scrittore, un telo messo da filtro dall’autore quasi a sottolineare la
familiarità e la distanza che intercorre tra un’opera letteraria, un romanzo,
poesia, parole scritte, e colui che le ha messe su carta, inchiostro nero su
pagine ferite bianche. Tra la bocca, e qui si ritorna alle
porno star a labbra spalancate, e la scrittura, tra l’oralità e la prosa
consegnata ai posteri. Così anche Hemingway
perde la sua autorità (nel quadro più piccolo dell’esposizione) nel suo volto
bonario, senza mojito, diviene quasi nonno e
dell’autore di “Per chi suona la campana” non rimane altro che la barba fitta e
folta da Babbo Natale, un sorriso ironico e rilassato, mansueto. Alda Merini è docile ed ha perso la
fiammata, mentre Samuel Beckett, del
quale si festeggiano proprio nel 2006 i cento anni dalla sua nascita, è duro e
rugoso, impervio, in perscrutabile. Un ammasso di rughe tartarugose
e fossi di campi e solchi arati concentrati e
concentrici. Il passaggio di consegne tra persona e
personaggio, tra prodotto creativo e autore che difficilmente collimano nella
realtà. Mario Luzi, con i capelli
sparati alla Einstein, in una posa bambinesca e da fanciullo esprime
poesia pura con le mani infantili a sorreggersi il capo, un po’ scoraggiato, ma
per puro gioco, o solamente stanco, di fronte all’obiettivo. E poi scorrono Bukowski
e
Burroughs, Pasolini (non poteva stare che accanto alla
Merini), Miller. La scelta di Capecchi è insolita ed originale,
accompagnata dal bel catalogo a soffietto edito da Settegiorni
Editore che ritrae fotografie dei dipinti e una riproduzione degli scritti in
lingua originale degli artisti, ed accomuna, virtualmente nella stessa stanza,
personaggi che hanno fatto della loro scrittura un icona,
un monito, una bandiera.
Voto
7 +
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